Mi pare che ormai ci siamo: con oltre 4.000 casi giornalieri di nuovi “infetti” siamo all’inizio di quella che tutti hanno chiamato “la seconda ondata”. Uso le virgolette per la parola “infetti” per dovere di coscienza, sapendo bene quanto sono poco affidabili i test e sapendo che hanno cambiato la metodologia di rilevazione, poiché ora la bassa carica virale renderebbe non rilevabili la maggior parte dei casi.
Tocca partire dal dato sanitario per parlare di economia, perché ormai la pressione per accedere al Mes, dopo il Next Generation Eu, è tale e tanta che ci vuole solo l’occasione giusta. E quale occasione migliore di uno stato di necessità indotto dalla “seconda ondata”?
“Il Recovery Fund è un’opportunità”, “Il Recovery Fund è necessario”, queste sono le frasi del martellamento continuo col quale sui media i politici di ogni risma cercano di inculcare la necessità di accedere a quei fondi. E poi ancora “sono in parte a fondo perduto”, oppure “sono a interessi bassissimi”; però non dicono che devono essere tutti restituiti. E soprattutto non dicono il fatto più grave: si tratta di prestiti prioritari, quindi ovviamente precedono tutti gli altri, svalutandoli. Questo vuol dire che, per risparmiare qualche miliardo (forse) sugli interessi di un centinaio di miliardi, andremo a pagare interessi più alti su tutto il resto del debito, oltre 2.500 miliardi. Proprio un bell’affare.
Nel frattempo questa pseudo pandemia (una vera farebbe milioni di morti nel mondo) viene usata come una clava dai diversi attori della politica per giustificare ogni azione e ogni inazione, per giustificare tutto con la scusa dell’emergenza (per questo hanno bisogno di una perenne emergenza) e senza tenere conto dei danni che fanno, soprattutto nell’economia reale. Blocco di qua, chiusura di là e a pagare è sempre l’economia reale, soffocata dalle regole astruse e dall’incertezza.
Ora tra l’altro risalta fuori l’idea dell’euro digitale. Si tratta di un’idea caldeggiata da tempo e viste le sempre maggiori adesioni, sicuramente si farà. Ma di cosa si tratta in realtà? L’euro che oggi conosciamo come moneta ha diverse forme e diverse nature. Quella fondamentale è la banconota e per legge è l’unica legale, cioè l’unica che per legge estingue un debito. Tutto il resto (bonifici, assegni, bancomat) non sono moneta legale, cioè non estinguono “per legge” il debito. Però sono il mezzo attraverso il quale chi riceve un bonifico, per esempio, poi può andare in banca e ritirare l’equivalente in banconote, la vera moneta legale. Questo vuol dire che la “moneta elettronica” da un punto di vista del diritto serve a trasmettere un diritto, cioè il diritto di recuperare l’equivalente in moneta legale dal proprio istituto bancario.
Quella che ho chiamato “moneta elettronica” è in realtà moneta “bancaria” cioè creata e gestita dal sistema bancario privato, autorizzato a farlo dalle leggi e dai regolamenti vigenti e supervisionato dalla Banca d’Italia. Tale moneta ha una caratteristica: trasmette i diritti di prelevare la moneta legale e la trasmissione avviene attraverso strumenti elettronici. Ma di fatto è una trasmissione di diritti (a prelevare moneta legale), non è vera moneta.
Invece quando si parla di “moneta digitale” si intende una vera e propria moneta, però in formato digitale. All’apparenza, soprattutto per i “consumatori” (cioè per tutti i cittadini), cambia poco, poiché i pagamenti verranno gestiti da un’applicazione per computer e soprattutto smartphone. Da un punto di vista della giurisprudenza, invece, cambia moltissimo, poiché la forma della moneta da cartacea diventa elettronica, cioè digitale. Mentre prima era cartacea e la trasmissione poteva avvenire attraverso la “trasmissione del diritto” con mezzi elettronici, ora invece la moneta stessa diventa elettronica e il fatto che tale moneta verrà pure trasmessa con mezzi elettronici, la rende “moneta digitale”.
Quando si introducono nuove tecnologie, possono sempre avvenire dei salti in avanti (piccoli o grandi) per tutta la popolazione. Ho detto “possono” perché la tecnologia è un mezzo, poi bisogna sempre vedere come viene utilizzata. E questo rimane, per ora, il grande punto interrogativo riguardo la moneta digitale. Ho già detto, perché confermato dai fatti, che pensare alla moneta digitale come strumento di lotta all’evasione sarebbe un fallimento e sarebbe una grave limitazione per la moneta digitale, rispetto a tutte le potenzialità (che magari proverò a spiegare in un nuovo articolo) di tale strumento.
Soprattutto c’è da capire da chi e come verrebbe creata questa moneta digitale, questo euro digitale. La situazione peggiore sarebbe quella nella quale viene creato solo e unicamente dalla banca centrale di riferimento, dalla Bce nel nostro caso. Sarebbe un accentramento di potere solo dannoso, poiché una banca centrale non potrebbe avere gli strumenti per poter giudicare la necessità (o l’utilità) di un’emissione monetaria in occasione, per esempio, di un prestito. Un simile accentramento sarebbe pure in palese contrasto col principio di sussidiarietà, che impone di lasciare ai livelli inferiori (o locali) quanto questi possono gestire in autonomia. Inoltre, questo comporterebbe un accentramento anche delle funzioni di controllo. Purtroppo la storia recente, proprio in Europa, ha confermato le gravi lacune nelle capacità di controllo delle attività finanziarie e monetarie: lo scandalo della tedesca Wirecard è solo l’ultimo di una triste lista di casi di controlli mancati e di susseguenti fallimenti.
Bisogna pure dire che le monete digitali non sono un’invenzione del sistema bancario, ma del mondo informatico. Infatti, le prime monete digitali, usate come tali, sono le criptovalute, come per esempio il Bitcoin e l’Ethereum. Si tratta di monete generate da un software distribuito liberamente. In qualche modo si tratta di un sistema per distribuire moneta gratis, anche se veramente gratis non lo è, poiché richiede potenza computazionale che consuma energia. La tecnologia sottostante a questo tipo di moneta è la celebre “blockchain”, un sistema software distribuito che offre eccezionali garanzie di sicurezza e invulnerabilità. Questa tecnologia è quella a cui stanno attingendo tante banche centrali e private per iniziare a testare i loro sistemi di moneta digitale.
La cosa bella è che la tecnologia blockchain è open source, cioè è liberamente scaricabile da tutti. Questo apre degli scenari importanti per lo sviluppo di monete digitali locali, le cosiddette monete complementari, che potranno essere digitali pure loro.
In conclusione, l’euro digitale è sicuramente il futuro che ci attende. E se questo futuro sarà roseo non dipenderà dalla nuova tecnologia, ma dall’uso che ne faremo.