Nella prima giornata del summit in corso a Bruxelles, Regno Unito e Unione Europea, ancora una volta, non hanno trovato alcun accordo. Delusione da parte inglese, nessuna intenzione di fare sconti da parte europea. Il rischio a questo punto, come spiega Leonardo Maisano, per diversi anni corrispondente da Londra per Il Sole 24 Ore, “è che si arrivi a una “Brexit senza rete”, al temuto no deal, che significherebbe un danno molto forte per il Regno Unito in primis, ma anche per la stessa Unione Europea e per paesi come Francia, Germania e Italia, quelli che hanno i maggiori rapporti commerciali con la Gran Bretagna”.
La Gran Bretagna ha espresso “delusione” in un tweet del negoziatore britannico, David Frost. Quali i motivi?
La Gran Bretagna continua a insistere per ottenere un trattamento di eccezione rispetto alle pratiche e al modus operandi dell’Ue. Chiede, per usare una terminologia cara a noi italiani, la botte piena e la moglie ubriaca, essere cioè fuori dal mercato interno godendo però di alcuni vantaggi o dei punti di maggior riscontro, il primo dei quali riguarda la pesca e altri motivi più tecnici. Quello della pesca ha però un forte impatto sull’elettorato inglese, soprattutto quello conservatore, che è molto sensibile sull’argomento.
Per quale motivo? È il punto su cui è più difficile trovare un accordo?
Si tratta del diritto di pescare nelle acque territoriali britanniche dopo il primo gennaio 2021. È una questione che risale al 1973, quando il Regno Unito entrò a far parte della Comunità economica europea concedono di condividere il diritto di pesca con i paesi vicini. La pesca non costituisce un ricco fattore economico, ma ha assunto un contenuto politico quasi maggiore della finanza, con slogan populistici del tipo “L’Europa ci ha rubato il pesce”.
La Ue vuole un accordo, ma non a tutti i costi, ha detto il negoziatore europeo Michel Barnier. Perché? Che cosa rischia?
Significa che anche per la Ue l’ipotesi di una Brexit senza rete, un’uscita non protetta ma non negoziata, avrebbe un impatto molto negativo su tutte le parti in causa: prima di tutto per la Gran Bretagna, la cui quota di scambio con la Ue è del 50%, ma anche per paesi come la Germania, specie nell’ambito dell’industria automobilistica, e anche l’Italia.
La Ue chiede a Johnson di fare un passo concreto verso l’intesa. Che cosa farà il premier inglese che considerava il 15 ottobre come la scadenza per trovare un accordo?
Johnson è per formazione un giornalista, ha assistito per anni ai vertici europei, nel corso dei quali spesso si arrivava ad accordi dell’ultima ora, vertici nei quali sembrava di essere sull’orlo dell’abisso e poi si trovava un’intesa. È uno scommettitore, sta applicando la stessa logica nella speranza che alla fine la Ue sia pronta a fare un passo indietro.
È un’ipotesi plausibile? Otterrà proprio questo?
A mio avviso, i suoi conti sono sbagliati. La Ue non può permettersi altrettanto, concedendo alla Gran Bretagna quello che la Gran Bretagna sta chiedendo. È un miraggio quello che Johnson insegue. Il rischio che una strategia del genere porti, per un errore, a un incidente con conseguente rottura delle trattative è reale.
Johnson gode ancora di consenso popolare?
Johnson sulla Brexit ha vinto le elezioni di dicembre a mani basse, però era una Brexit su cui era stato trovato un accordo con una definizione che lui stesso oggi rimette in discussione. Poi la pandemia di Covid lo ha reso molto impopolare, dato che è stata gestita molto male. La luna di miele con l’elettorato è finita da un pezzo, tanto che pare addirittura che il Partito conservatore stia considerando l’ipotesi di sostituirlo, per trovare un leader meno controverso.
I negoziati proseguiranno fino al 31 ottobre? Con quali margini di intesa?
È impossibile dirlo. Credo che con le due settimane in più ci saranno possibilità, ma i margini di intesa sono tutti da vedere.
Cresce il rischio di un no deal? Quanto sarebbe pesante per la Gran Bretagna, per l’Unione Europea e per l’Italia?
Sarebbe molto pesante soprattutto per gli inglesi e per i singoli Stati, a seconda dei loro livelli di relazione commerciale con il Regno Unito. Italia, Francia, Germania e l’Olanda sono in prima linea nel pagare un prezzo elevato.
(Paolo Vites)