Davide Navarria, giovane filosofo, insegnante di storia e filosofia presso la Fondazione Grossman, ha presentato al Meeting di Rimini due anni fa il suo penultimo lavoro intitolato L’agire intimo (Mimesis). Di recente ha pubblicato il testo Benvenuti nel Pornocene. All you can fuck! A parte il titolo piccante, che non deve trarre in errore, questo testo pubblicato per la Rogas in una collana scientifica è una curiosa analisi di un fenomeno sociale vicino alle giovani generazioni. Davide propone una riflessione frizzante sulla soggettività, l’intimità. Ecco cosa ci ha detto.
Lo si potrebbe definire quasi un bestseller e te lo auguriamo, uscito da pochi giorni e già esaurito. Benvenuti nel Pornocene. All you can fuck!, ci introduce in questo unico piccante quanto fruibilissimo mondo? Come nasce l’idea?
È proprio vero quello che dici: è unico, è piccante, ed è fruibilissimo. La pornografia online 2.0 è alla portata di tutti, sempre e ovunque. È questo il dato di realtà dal quale mi sono sentito interpellato, e a partire dal quale si è avviata la mia riflessione “hot”. Perché un filosofo dovrebbe occuparsi di pornografia? Risponderei: e per quale ragione non dovrebbe? Se il pensatore è chiamato a interrogare il proprio tempo tentando di comprenderne le dinamiche, senza pretendere di scioglierne le complessità ma, al contrario, onorandone le pieghe, allora potremmo ribaltare la questione: come fa un filosofo degno di questo nome a bypassare un fenomeno così diffuso, dilagante, pervasivo e, last but not least, monetizzabile e monetizzato come il porno di massa? Inoltre, mi pare ormai sotto gli occhi di tutti che è ormai – grazie al cielo! – finito il tempo della distinzione tranchant tra cultura “alta” e cultura “popolare”. Nella nuova serialità, in un breve video porno amatoriale, come nelle Instastories dei Ferragnez possiamo attingere lo stesso potenziale filosofico contenuto in un testo di Platone, Kant o Nietzsche. Certo, bisogna avere il coraggio di operare una lettura coinvolta e partecipante, come direbbero gli etnoantropologi. Senza paura di sporcarsi le mani con una realtà tanto affascinante quanto critica, contraddittoria, ambivalente. Ma in fondo, se ci pensiamo un attimo, quale aspetto della nostra esperienza del e nel mondo non presenta tali “inquietanti” caratteristiche?
Un tuo testo più “serio”, per un pubblico che non cede agli scandali, neppure per pochi minuti in pausa pranzo tra i colleghi, precede il nuovo volume della Rogas; mi riferisco qui al tuo Agire intimo che tratta di tutto un mondo spirituale che ciascuno ha dentro di sé. I testi paiono strettamente collegati, ci dici qualcosa in merito?
È vero: i due testi sono strettamente collegati, direi anzi che Benvenuti nel Pornocene ha iniziato a prendere forma nel momento stesso in cui ho concluso la stesura de L’agire intimo. Resistere all’osceno. In questo testo ho provato a chiarire, anzitutto a me stesso, le modalità diciamo “strutturali” di un’esistenza umana autenticamente vissuta. Che cosa ci permette di concentrarci sul presente senza idolatrarlo, di aprire porte e finestre sul mondo senza invadere e distruggere gli altri? Come tenere conto della materialità della vita senza trascurare il rimando a un altrove che da sempre ci attira e rapisce? E allo stesso modo, come fronteggiare la tentazione dello spiritualismo dilagante, che ci conduce a grottescamente proiettare al di là del mondo ogni nostra speranza, energia, desiderio? Ho definito “intimità” il delicato equilibrio che ci vede protagonisti di un “abitare bene” la scena del mondo: senza trascurare o censurare né l’uno né l’altro dei due poli che caratterizzano l’esperienza. Viceversa, l’“oscenità” consisterebbe nella realizzazione di un vero e proprio “totalitarismo esistenziale”: un agire-abitare nella dimenticanza del cielo in favore della terra, o viceversa. Uno degli ambiti sui quali ho testato la mia proposta è la sessualità umana: quando può essere definita “intima” e quando “oscena”? Ecco, Benvenuti nel Pornocene mi vede impegnato nell’applicazione della griglia concettuale intimità-oscenità a un universo davvero affascinante come quello della pornografia nell’epoca del capitalismo avanzato e del trionfo del digitale.
Ci puoi riassumere in poche battute come secondo la tua visione i colossi digitali abbiano e stiano trasformando la soggettività? Benefici e demeriti? O solo demeriti a parer tuo?
Google, Amazon, Facebook, come ha efficacemente argomentato S. Patriarca in un recente testo edito da Castelvecchi, Il digitale quotidiano, stanno lentamente ma inesorabilmente trasformando le nostre pratiche quotidiane e dunque le nostre soggettività. Google ci fornisce la possibilità (tutta da capire e valutare) di accedere a una mole sterminata di conoscenze – meglio, di dati/informazioni – rivoluzionando così le fonti del sapere e mettendo in discussione le gerarchie educative, rendendo possibile l’illusione di una conoscenza totale e sempre fruibile. Lo stesso discorso per quanto riguarda Facebook e Amazon, servizi che hanno iniziato a ridefinire la nostra percezione della socialità e dell’amicalità, così come il nostro rapporto con gli oggetti, subito disponibili e a portata di un semplice click – gli oggetti e gli amici! Lo stesso discorso per quanto riguarda i colossi della pornografia online, in particolare quella gratuita. Un catalogo pressoché infinito di situazioni e scenari pornografici ai quali accedere senza alcuna complicazione, un tripudio di corpi intrecciati, categorie articolate e complesse, offerte sempre più allettanti. Allora, venendo alla domanda circa benefici o demeriti dei colossi digitali, fornisco solo due spunti che andrebbero senz’altro sviluppati. Primo: i colossi digitali sono governati principalmente da logiche di profitto, in questo senso non si pongono nemmeno lontanamente il problema etico e/o antropologico relativo alla soggettività, e se lo fanno è per meglio governare e capitalizzare il “materiale” trattato. Secondo punto, ed è consequenziale al primo, sono innegabili i benefici offerti dal punto di vista della facilitazione materiale delle nostre vite, ma i demeriti sono altrettanto palesi, e consistono in una strutturale miopia circa tutto ciò che non assume i contorni di una prestazione commerciale consumata qui e adesso. In poche parole, è il trionfo totale del capitale sempre e a ogni costo.
Il desiderio è stato un tema dominante nelle pagine di tanti filosofi, minori, maggiori, di ogni epoca sparsi in tutto il mondo. I modelli di approccio alla corporeità che il web propone a costo zero hanno portato ad una differente concezione del desiderio? Non parlo qui della scontata riflessione che il giudice morale inavvertitamente propone sulla mala-educazione della pornografia, senza riferimento alcuno alla malaeducaxxxion della Di Cioccio, ma su una trasformazione della sensibilità dei soggetti più giovani ed evidentemente più vulnerabili in materia di novità.
Che si decida di schierarsi da una parte o dall’altra della barricata, pro o anti pornografia, nessuno studioso serio potrebbe negare che il porno di massa abbia contribuito a plasmare inedite geografie del desiderio. La sensibilità dei soggetti più giovani al bombardamento d’immagini pornografiche è una questione seria. Ed è antropologica, etica, politica. Per la nostra specie lo sviluppo cognitivo e relazionale procede in modo molto più lento e graduale di quanto non avvenga nel mondo animale. Ciò rende le esperienze vissute nel corso della giovinezza delle vere e proprie “strutture” dinamiche ma quasi definitive di rapporto con il reale. Siamo molto più esposti e “traumatizzabili” – anche in senso buono – negli anni del nostro “apprendistato” umano. “Il primo amore non si scorda mai”, dice la saggezza popolare. Le prime esperienze, in ogni ambito, sono davvero qualcosa di unico e de-cisivo ma anche, e questo è un aspetto da non sottovalutare, re-cisivo: rischiamo cioè di restare mutilati, azzoppati, negativamente segnati. È terribile pensarlo ma è purtroppo una possibilità: una donna iniziata alla sessualità con lo stupro non è soggetta a una decisione quanto a una re-cisione. Certo, noi non siamo solo ciò che gli altri ci hanno fatto, ma anche ciò che decidiamo di fare con quel che ci hanno fatto. Ciò non toglie tuttavia che questa terribile esperienza segnerà per sempre l’immaginario, il corpo, la coscienza di questa donna. Saranno dolori. Grazie al cielo, però, lo stesso potere trasformante di ciò che ci accade può realizzarsi nella forma dell’apertura, della positività, del bene fatto e ricevuto, come delle immagini liberanti e pro-creative, cioè capaci di avviare percorsi di costruzione dell’identità fecondi e generativi. Tutto quel che intercettiamo ci costruisce e ci trasforma! Avviene così anche per noi adulti: i film che guardiamo, i libri che leggiamo, le persone che frequentiamo e, eventualmente, il porno che consumiamo contribuiscono a renderci ciò che siamo. Nel bene e nel male. Aveva ragione, almeno in parte, Feuerbach quando diceva che l’uomo è ciò che mangia. Aggiungerei che l’uomo è anche ciò che scopa o sogna di scopare. L’uomo è anche il porno che consuma. E allora: porno ergo sum? Io credo di sì. Solo che questa “retroattività ontologico-trasformativa” nell’adulto si realizza su un soggetto le cui dinamiche individuali sono fondamentalmente già sedimentate e configurate secondo caratteristiche più solide e stabili. I giovani sono, evidentemente, molto più malleabili. E ahinoi, come suggerisci, vulnerabili. Assorbono con più facilità e immediatezza, rendendo habitus sensoriale e cognitivo ciò cui vengono esposti. Il rischio maggiore di una precoce ed eccessiva esposizione a una sessualità esplicita è a mio parere la possibilità di una progressiva anestetizzazione al godimento; la sua declinazione in modalità autistico-narcisistiche; la depressione del desiderio in forza della sua precoce saturazione; l’incapacità di svincolare l’atto sessuale da un contesto finzionale. La scena della sessualità è molto più ampia e articolata di ciò che avviene nei set a luci rosse. Lo dico senza condannare o valutare “in toto” la pornografia: la sessualità umana è un mistero bello e grande che trascende ogni tentativo di ingabbiarla dentro scenari parziali e sfugge al tentativo di costringerla dentro i circuiti virtuali del world wide web.
Che fine ha fatto il senso del pudore! Così esclamano sobrie voci dei tempi dell’amor cortese. Credi si riesca ancora a tracciare un confine tra il lecito e l’illecito nel campo della liceità post-moderna? La legge certamente è il criterio del mondo esterno, troviamo bandierine a mo’ di segnaletica anche nell’interiorità? La grande domanda sul bene e sul male nell’uomo…. inevitabile querelle dei filosofi.
È una questione inevitabile quella che poni, ed è necessario confrontarsi con essa anche perché eludendola ci esponiamo al rischio di restare sempre e solo su un piano descrittivo senza mai prendere posizione. In primo luogo, rispetto al confine tra lecito e illecito, ritengo sia oggi, più che mai, difficile tracciarlo. Anzitutto perché la libertà democratica, che in sé è un bene irrinunciabile, è anche il contesto della mai conclusa negoziazione tra soggettività desideranti che, in un contesto come quello attuale, percepiscono la legge dello Stato o le istanze delle chiese alla stregua di sgradevoli diktat, avvertiti come impositivi e soffocanti, piuttosto che accoglierli come – pur parziali e rivedibili – elementi di supporto e inevitabile regolamentazione delle relazioni sociali. Ciò detto, rabbrividisco ancora oggi pensando a un fatto di cronaca tutto sommato recente. Qualche anno fa, in una paese collocato nel cuore dell’Occidente democratico e liberale, si è candidato non un nuovo leader carismatico, bramoso di potere assoluto e di discorsi alle piazze di funesta memoria, ma un piccolo partito – sono sempre piccoli all’inizio –, che invocava solo il diritto di esistere. Si trattava del partito dei pedofili. È un caso estremo, che non vale nemmeno la pena di commentare, ma che offre molto materiale per la nostra riflessione. Anzitutto, smaschera la miopia di chi crede che la democrazia sia di per sé antidoto all’abisso del male e del non senso. Non è così, lo verifichiamo quotidianamente. La democrazia non è una panacea universale ma una condizione di partenza, affinché i cittadini responsabilmente s’impegnino nel bene concreto – il grande insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa è sempre andato in questa direzione. Allora, direi che oltre che vigilare sempre, affinché la legge degli uomini, quella del diritto positivo, non degeneri e/o si capovolga nella dittatura della pulsione quale che sia, dobbiamo coraggiosamente fare appello a quelle che tu hai definito “bandierine a mo’ di segnaletica”, collocate dentro di noi prima che estroverse nelle carte costituzionali. Si, queste bandierine ci sono, e ci dicono che il nostro desiderio è cosa buona… ma che erotizzare l’odio e trattare l’altro solo come un mezzo per il nostro godimento è sbagliato, punto e stop. Queste bandierine ci dicono che i bambini non si toccano, e che la pedofilia non è solo un reato ma anche una cosa sbagliata tout court, ieri, oggi e tra diecimila anni. Ci sono dei confini, dei limiti, dei “No!” che vanno detti con forza e senza paura. E in tutto questo, la pornografia. Che si fa? La consumiamo o no? Mi è capitato in occasione di alcune presentazioni di non rispondere alla domanda rivoltami dal pubblico. Non ho mai risposto, non ho una risposta. Mi viene solo da rilanciare con una domanda. Perché io sono convinto si tratti sempre di ri-decidere, ogni volta, chi siamo e chi vogliamo essere. Vuoi guardare il porno? Ama, fai il bene, e fai ciò che vuoi. Vuoi? Fallo se vuoi, ma ricordati che la vita è un’aggrovigliata trama all’interno della quale puoi e devi tenere conto del fatto che esistono anche gli altri. E ci sei tu in gioco! Allora, che cosa ci fa stare davvero bene? Che cosa ci rende più liberi, disponibili, aperti a condividere, cioè più virtuosi? E così è per la sessualità, l’alimentazione, l’impegno politico, ogni cosa. In ultimo, per ogni gesto che realizziamo, e che imprime una direzione unica al mondo e così alle nostre vite. Questa rinnovata libertà per un bene sempre nuovo è a mio parere l’unico baluardo contro il dilagare dell’osceno, e la strada da percorrere per un’esistenza vissuta insieme, cioè in profonda intimità.
(Elisa Grimi)