Per qualche motivo, rispetto al periodo marzo-aprile, l’aumento dei numeri di contagi da Covid-19 si è spostato in Lombardia da est a ovest. Le zone più colpite sono infatti quelle di Varese, Milano e Monza-Brianza, quando allora a pagare il prezzo più alto erano le province di Brescia, Cremona e Bergamo. Il professor Francesco Castelli, ordinario di Malattie infettive all’Università degli studi di Brescia, già titolare della Cattedra Unesco e direttore della Scuola di specializzazione in Malattie infettive, aveva raccontato al Sussidiario, lo scorso aprile, la difficile battaglia combattuta nel suo ospedale, i tanti morti, la stanchezza del personale sanitario. “Oggi nel nostro territorio il numero dei contagiati è per fortuna contenuto, ma la Regione ci ha allertati a mettere i nostri ospedali a disposizione dei malati che arrivano dalle zone della Lombardia oggi più colpite. Viviamo questo con angoscia, con il ricordo di quanto abbiamo già vissuto: l’idea che tornino quei giorni è una cosa che ci preoccupa e spaventa, perché l’abbiamo vissuta, come uscire da una tempesta al sole e vedere che le nuvole tornano e i marinai della barca sono preoccupati. Ma le assicuro che nessun marinaio lascerà la barca, nel momento in cui abbiamo indossato questo camice sappiamo che non ce lo toglieremo mai. Dentro il cuore siamo angosciati, ma siamo consapevoli che il nostro dovere lo facciamo per tutti, i malati sono tutti uguali. Non ci muoviamo, questo è quello che abbiamo scelto. Io curo ogni malato come se fossero mio papà e mia mamma”.
Il numero dei contagi in Lombardia è in costante aumento. Voi avete vissuto il periodo peggiore, lo scorso marzo-aprile: adesso come è la situazione?
La situazione in Lombardia mostra un numero di soggetti contagiati in aumento con differenze regionali, perché le epidemie presentano sempre sfumature che non si colgono su base nazionale. All’interno della stessa regione ci sono differenze. Oggi le zone della Lombardia più interessate dai contagi sono Monza-Brianza, Varese e Milano. Dove vivo io, a Brescia, abbiamo un moderato aumento del numero degli infetti, inferiore a quello che si vede a Milano.
Come mai, secondo lei, questo spostamento dei contagi da est a ovest della regione?
Nessuno conosce con certezza i motivi e tante certezze in passato si sono rivelate un po’ fallaci. Una delle ipotesi è che le zone della bergamasca e di Cremona, dopo il numero di persone anche inconsapevolmente contagiate a marzo-aprile, oggi godano di una certa protezione. Adesso, però, la Regione ci ha chiesto di allertarci per mettere a disposizione le nostre strutture per accogliere i contagiati che arrivano dalle zone in sofferenza, e quindi di affrettarci per poter essere di aiuto. Aumenta la pressione sugli ospedali a Brescia, non come a marzo, è vero, ma vengono trasferiti qui pazienti da altre zone della Lombardia.
Che cosa possiamo aspettarci per il prossimo futuro? Sarà possibile contenere la nuova pandemia?
Il futuro non lo conosciamo, ci vogliono azioni di contenimento, ne sono state indicate molte. Ogni regione è libera e chiamata a introdurre ulteriori misure. Teniamo conto che la Lombardia ha dieci milioni di abitanti ed è un’area metropolitana molto vasta.
Avete combattuto in prima linea tra marzo-aprile con grande dispendio di energie e di sacrifici. Siete di nuovo pronti a rivivere una esperienza analoga?
Indubbiamente siamo più capaci da tutti i punti di vista, organizzativo e medico, conosciamo meglio il nemico con cui abbiamo combattuto e con cui forse dovremo combattere ancora. Certo, siamo molto angosciati, l’idea che tornino quei giorni è una cosa che ci preoccupa e spaventa perché l’abbiamo vissuta. Come uscire da una tempesta al sole e vedere che le nuvole tornano: i marinai della barca sono preoccupati.
Cosa vi aiuta a superare questa preoccupazione?
Siamo pronti e dobbiamo esserlo, perché portiamo un camice. Nel momento in cui lo indossiamo la prima volta, lo teniamo per tutta la vita.
È più che una professione la vostra.
Sappiamo che abbiamo un compito e un dovere. In ogni comunità umana ciascuno ha un compito e un dovere. Sappiamo che la società affida a noi la salute della persona, noi lo abbiamo scelto e sappiamo di doverlo fare, nessuno esce dalla barca. Dentro il cuore siamo angosciati, ma siamo consapevoli che il dovere che ci chiama è per tutti, i malati sono uguali e siamo consapevoli del ruolo che abbiamo. Non mi piacciono espressioni come eroi o missionari, perché in questo lavoro si è eroi martedì e si è delinquenti mercoledì. Questo ci fa male, ma non ci muoviamo, questo è quello che abbiamo scelto. Io curo ogni singolo malato come fossero mio papà e mia mamma.
(Paolo Vites)