I contatti tra Banco Bpm, la terza banca italiana, e Credit Agricole continuano; si deve decidere come si procederà alla fusione tra le attività italiane del gruppo francese e l’ex popolare italiana. Quello che colpisce di questa vicenda è la “narrazione”. Un importante quotidiano italiano questo weekend descriveva le trattative che avrebbero portato alla creazione del “secondo gruppo italiano”. Questo secondo gruppo italiano avrebbe, secondo i calcoli degli analisti, Credit Agricole come principale azionista con una quota vicina al 40%; una partecipazione che consentirebbe di scegliere in solitaria sia l’amministratore delegato che il presidente. Nella sostanza un’operazione di fusione tra Credit Agricole Italia e Banco Bpm trasformerebbe la banca italiana nella divisione italiana di Credit Agricole.
Prima ancora di decidere se essere favorevoli e contrari o di concludere che l’operazione sia opportuna o meno bisognerebbe descrivere quello che accade per quello che è. Potremmo concludere che l’operazione sia assolutamente auspicabile proprio perché in Italia un grande gruppo bancario francese diventa il secondo operatore, ma sulla natura della nuova banca non dovrebbe esserci alcun dubbio.
Ieri un importante quotidiano finanziario italiano spiegava che l’operazione sarebbe positiva per l’Italia perché segnalerebbe una fiducia nel sistema da parte di un’operatore straniero. Nello stesso articolo, appena qualche riga dopo, si spiegava che l’operazione avverrebbe con modalità che consentirebbero al gruppo francese di diluire la sua presenza in Italia, alla fine magari deconsolidando la partecipazione, ma consentendo la gestione del risparmio italiano. Credit Agricole manterrebbe il controllo ma si diluirebbe al 40% del nuovo gruppo, con la possibilità di scendere in una seconda fase, perché attualmente controlla quasi il 90% di Credit Agricole Italia; la partecipazione di maggioranza relativa permetterebbe però di “incassare i dividendi” della gestione dei servizi a valore aggiunto.
Ci viene in mente per esempio che oggi Banco Bpm è il principale azionista di uno delle più grandi società di risparmio gestito italiane. O Credit Agricole crede nel sistema, consolida la partecipazione o addirittura lancia un’opa, oppure si diluisce ma si tiene il controllo delle attività ad alto valore aggiunto senza rimanere troppo attaccato ai crediti che tra qualche settimana rifletteranno lo stato dell’economia nazionale molto più di qualsiasi statistica.
C’è un terzo elemento: Credit Agricole non è una società scalabile perché l’azionista principale, con una maggioranza assoluta pari al 56%, è espressione delle banche regionali francesi. Infatti, viene considerata una “banca cooperativa”. Ci ricordiamo ancora le polemiche per la natura “ibrida” e anti-mercato delle popolari italiane che sono diventate nel giro di qualche settimana public companies quotate nel 2015. In sostanza la principale ex banca popolare italiana sarà controllata da una banca popolare francese e non scalabile senza che nessuno non solo abbia sollevato un’obiezione ma abbia nemmeno evidenziato il dato.
Dovremmo concludere che lo scandalo delle popolari quotate esiste solo quando sono italiane; oppure banalmente che le polemiche chiuse nel 2015 non erano in realtà funzionali a un “miglioramento” del sistema bancario italiano secondo standard maggiormente di “mercato”. Le teorie “cospirazioniste” del 2015 quando dopo la riforma si evidenziava il rischio di colonizzazione sono la cronaca del 2020.