La rilevanza dei lavoratori autonomi sul complesso degli occupati è una delle caratteristiche storiche del mercato del lavoro italiano. Ciò nonostante, il tema non è oggetto di particolare attenzione quando vengono commentati le statistiche sulla materia. A sollecitarla invece è un utilissimo contributo di analisi offerto dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro che, sulla base dei dati forniti dall’Istat, ha analizzato in profondità il variegato pianeta del lavoro autonomo, particolarmente colpito dalle conseguenze economiche dell’emergenza Covid che ha comportato una perdita di 219 mila occupati specifici (-4,1%) sul totale degli 841 mila persi per l’intero mercato del lavoro nel 2° trimestre 2020 nel raffronto con il medesimo periodo dell’anno precedente.
La perdita dei posti di lavoro è associata a quella del reddito per il 79% dei lavoratori interessati, oltre il 50% dei guadagni per il 38% degli stessi, nonostante l’iniezione dei sostegni al reddito una tantum e dei contributi sulle perdite di fatturato operata dal governo per 4,1 milioni di lavoratori autonomi (ai quali devono essere aggiunti quelli operati dalle specifiche casse degli ordini professionali con i contributi erogati da parte dello Stato). Particolarmente colpite dalla riduzione delle attività le micro aziende del settore commerciale (-71 mila), i professionisti e i tecnici con elevate qualifiche (-70 mila), e i piccoli imprenditori capi azienda (-58 mila). Per questi ultimi, con l’ulteriore perdita di 67 mila lavoratori dipendenti.
Ma la crisi Covid, con la sostanziale paralisi delle nuove aperture di partite Iva durante il blocco delle attività disposto per via amministrativa, ha solo prodotto un’accelerazione di una tendenza che era in atto dal 2010, con una riduzione nel decennio di circa 600 mila lavoratori autonomi sino all’attuale minimo di 5,1 milioni e del peso specifico sul totale degli occupati dal 25,3% al 22,6%. Un ridimensionamento che ha contribuito in modo rilevante alla perdita complessiva di circa 1,2 milioni di posti di lavoro di posti di lavoro con qualifiche medio alte.
Perdite legate in particolare al mancato ricambio generazionale, dato che la riduzione degli occupati si concentra, per 680 mila unità, nelle fasce di età inferiori ai 40 anni. L’incidenza degli occupati autonomi nella fascia under 30 anni, quella normalmente collegata all’avvio delle nuove attività, è precipitata al 13,6%. Con un sostanziale dimezzamento rispetto alle percentuali registrate fino agli anni ’90 dello scorso secolo.
Il crollo della propensione a fare impresa trova molte spiegazioni. La più importante legata al mutamento dei valori guida che hanno animato gli anni della crescita economica italiana, la propensione a risparmiare e a fare sacrifici, l’importanza di avere un mestiere e una professione, la prevalenza dei doveri rispetto ai diritti. Una tendenza ben descritta da Luca Ricolfi nel saggio “La società signorile di massa” e che si può sintetizzare nella constatazione di come per molti giovani la scelta di non lavorare, per le condizioni di reddito e di patrimonio familiare, e per l’eccessiva benevolenza delle famiglie nei loro confronti, possa apparire del tutto razionale.
Pesa indubbiamente anche la frammentazione dei percorsi lavorativi e professionali, e l’oggettiva svalutazione dei titoli di studio, che hanno indebolito l’immagine e lo status del lavoro autonomo, in particolare delle professioni. Una condizione che nel passato ha consentito a queste categorie di avere un grosso peso nelle decisioni pubbliche, nelle rappresentanze istituzionali parlamentari e nelle amministrazioni locali. Una forza utilizzata purtroppo anche per salvaguardare privilegi di stampo corporativo, con il risultato di ritardare i percorsi di modernizzazione negli specifici ambiti di attività dei mestieri e delle professioni. La rilevante consistenza dell’evasione fiscale legata alle sottodichiarazioni rilasciate da un’elevatissima quota di lavoratori autonomi (il 68% nell’indagine svolta dalla Commissione Giovannini sulla evasione fiscale per l’anno 2017) contribuisce essa stessa a offrire un’immagine negativa per queste categorie di lavoratori.
E infine non va sottovalutato l’effetto indotto dalla crisi del settore dell’edilizia, che storicamente ha rappresentato l’habitat ideale per numerosissime attività di lavoro autonomo e per le professioni specialistiche.
Per invertire la tendenza diventa necessario intervenire sui tre versanti critici: valorizzare le persone che intraprendono, modernizzare i mestieri e le professioni e farle diventare uno dei motori di una nuova fase di crescita economica. Le potenzialità sono enormi. Da tempo gli esperti in materia di mercato del lavoro e di organizzazione aziendale sottolineano come sia necessario ricostruire in via permanente e flessibile il significato delle professionalità, come valorizzazione combinata delle varie esperienze formative e pratiche, combinando le competenze trasversali, come la capacità di lavorare con altre persone e con una pluralità di organizzazioni, attenzionando i bisogni dei clienti e degli utenti, con quelle specialistiche che devono essere aggiornate in relazione alle innovazioni tecnologiche.
Si potrebbe tranquillamente affermare che il prototipo del lavoratore autonomo rappresenta la figura ideale del nuovo mercato del lavoro anche come evoluzione per buona quota dei lavoratori dipendenti. In parte questo approccio è implicito per la gestione dello smart working, anche se allo stato attuale la riflessione rimane ancorata all’ambito dei lavoratori dipendenti, ma la possibilità di utilizzare in senso ampio le tecnologie per interagire con una molteplicità di clienti non solo è tipica del lavoratore autonomo, ma diventa la condizione stessa per accompagnare la rivoluzione digitale nel sistema dei servizi, in particolare quelli rivolti alle imprese, alle persone.
Con qualche contraddizione, legata a una proliferazione di pratiche burocratiche, questa spinta diventa decisiva per l’attuazione dell’ecobunus in edilizia, per il rilevante coinvolgimento dei professionisti certificatori, ma analogamente potrebbe avere uno sviluppo importante per la modernizzazione della sanità, dell’assistenza, per valorizzare il ruolo dei professionisti nella semplificazione delle procedure della Pubblica amministrazione, nella riorganizzazione della accoglienza turistica, dei servizi di ristorazione e in generale per i servizi verso le imprese molto importanti per la ripresa post-Covid.
Un passaggio che implica un salto di qualità delle organizzazioni di rappresentanza delle diverse categorie dei lavoratori autonomi e professionisti. È del tutto evidente che il tradizionale patto politico basato su una relativa tolleranza riguardo l’effettiva imposizione fiscale, la gestione separata dei sistemi previdenziali, per una buona parte diventati insostenibili per il mancato ingresso di nuovi contribuenti, e la sostanziale esclusione dalle forme di sostegno al reddito nelle fasi di crisi delle attività, sia da tempo esaurita. Spetta particolarmente a loro individuare i percorsi per rigenerare la funzione economica e sociale dei lavoratori autonomi e dei professionisti. Nell’interesse degli associati e dell’intera comunità nazionale.