Il Governo si prepara a varare un’altra manovrina d’emergenza, si parla di stanziare quattro miliardi di euro in vista della nuova stretta. Anche se sarà parziale, a blocchi, o per regioni, il confinamento avrà un impatto pesante sulla vita di tutti noi, a cominciare dalla salute fino all’economia. La seconda ondata della pandemia ha cambiato i parametri economici e non solo in Italia: la ripresa s’allontana, la recessione allunga la sua ombra oscura, i consumi ristagnano e anche le imprese che hanno le risorse per ripartire non sanno a chi vendere i loro prodotti. Gli imprenditori finora hanno chiesto sostegni economici, comprese elargizioni a fondo perduto per ripristinare il capitale; oggi si lamentano perché i negozi sono vuoti e non ci sono clienti. Anche le vendite online dopo un’impennata nei mesi scorsi, languono, la paura induce alla massima prudenza, i dati dell’Assobancaria sui depositi in conto corrente (quindi senza alcuna remunerazione) la dicono lunga: ammontano a 1.682 miliardi di euro, grosso modo il prodotto lordo di un anno. La crisi che partiva dall’offerta, ora si è spostata anche dal lato della domanda.
A non essere più attendibili sono i parametri dell’economia italiana. La Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza dovrà essere a sua volta aggiornata, sottolinea Giovanni Tria sul Sole 24 Ore. Ci vorrà un’altra nota che tenga conto della nuova emergenza. Qualcuno potrebbe dire che c’era da aspettarselo, tutti, a cominciare dal Governo, si sono fatti prendere da un ottimismo comprensibile, ma del tutto irrealistico. Nell’estate scorsa ogni italiano voleva convincersi che fosse arrivata la svolta, che il Paese fosse uscito dall’emergenza e dalla stessa pandemia. E si parlava di rimbalzi inattesi, di “rimbalzoni”, in un sussulto di allegrezza infondato. È vero, segnali più che incoraggianti sono venuti dalla produzione industriale, ma il resto dell’economia continuava comunque ad arrancare. Oggi bisogna pregare perché il crollo del Pil non sia peggiore dei dieci punti finora stimati. Quanto al prossimo anno, non comincia in salita, al contrario rischia di partire in discesa.
Di nota in nota, il Governo continuerà ad aggiustare il tiro, aumentando la spesa in disavanzo e ampliando il debito pubblico. La nota che a questo punto ci servirebbe e che non viene fornita, riguarda la spesa. Quante di quelle risorse che ammontano fino a 100 miliardi di euro messe a disposizione con i vari interventi già varati, sono state effettivamente impiegate, dove e come? Quanti posti letto negli ospedali, quanti medici, quanti infermieri, quante attrezzature per la terapia intensiva? Si è detto che la sanità era la priorità delle priorità, adesso stiamo scoprendo che il sistema è di nuovo in affanno e rischia il collasso se il Covid-19 continua con questo ritmo, non solo a Milano, ma a Napoli, a Torino, a Roma, nelle grandi città che sono i nuovi focolai.
La lista della spesa – la spesa effettiva non solo quella annunciata o deliberata e poi rimasta nei cassetti, nei meandri dei ministeri, nelle maglie delle complesse, astruse, spesso irrazionali pratiche attuative – è essenziale per capire che cosa si è fatto, che cosa non ha funzionato, che cosa si deve fare a questo punto. E anche per capire chi ha sbagliato, finendola con il continuo rimpallo delle responsabilità, con accuse e contraccuse tra centro e periferia.
Appare evidente, ad esempio, che l’istituzione del commissario non è servita granché. Forse perché Domenico Arcuri è commissario di nome e non di fatto, non avendo una vera autonomia decisionale, né poteri per saltare i passaggi inutili e artificiosi. Insomma, non può fare come a Genova, tanto per citare un paradigma operativo del quale si era parlato a lungo nei mesi scorsi. Forse perché si è lasciato anche lui blandire e a abbindolare dalle magie del circo politico-mediatico. Forse perché non era l’uomo giusto al posto giusto. Chissà. Certo, è arrivato il momento di fare il punto. Ciò riguarda, sia chiaro, soprattutto il Governo, o meglio lo schema con il quale il Governo, a cominciare dalla presidenza del Consiglio, ha operato durante il lockdown e, ancor più, dalla riapertura in poi. Il modello “palazzo Chigi decide per tutti e su tutto” è finito in un vicolo cieco, visto che con l’arrivo della seconda fase si moltiplicano le forze centrifughe e si moltiplicano i centri decisionali.
Se si esclude un confinamento generale, è essenziale decentrare riservando al Governo un ruolo di coordinamento, secondo una linea di fondo condivisa. Ed è meglio discuterne apertamente, allargando le responsabilità e il coinvolgimento nelle decisioni. Diventa, dunque, ancor più importante la nota della spesa, come strumento di un’operazione verità. Il Governo deve decidere al suo interno quanto può ancora spendere in deficit, quanto è sostenibile e a quale prezzo, senza rimandare ai futuri interventi dell’Unione europea. Su questa base soltanto è possibile decidere i sussidi da distribuire e le risorse destinate al rilancio attraverso gli investimenti. Questa seconda parte finora è mancata e ciò contribuisce ad aumentare l’incertezza e la paura del domani.