E così le elezioni in Bolivia si sono finalmente svolte e hanno visto la vittoria del Movimento Socialista MAS con oltre il 55% dei voti: i due partiti di opposizione (Comunidad Ciudadana y Creemos Bolivia) hanno ottenuto rispettivamente il 28,83% e il 14% dei voti e quindi Luis Alberto Arce Catacora è di fatto il nuovo Presidente.
Precedentemente ministro dell’Economia e delle Finanze, Arce è di fatto riconosciuto come l’artefice dello sviluppo che la Bolivia ha ottenuto negli anni della Presidenza del discusso Evo Morales, anche se la crescita del Paese non è stata utilizzata per creare non solo un benessere sociale ma anche un ministero della Salute efficiente, cosa che ha portato alle disastrose cifre che la Bolivia ha sofferto per il Covid-19.
Come già illustrato in articoli precedenti, la conoscenza della Bolivia da parte del mondo occidentale si basa su molti stereotipi che sono tipici spesso nel cosiddetto progressismo “radical chic”, che ha festeggiato anni fa il trionfo di Evo Morales come la giusta vittoria dell’indio sul capitalismo di rapina delle classi alte e medie del Paese.
Purtroppo il “Complesso di Cristoforo Colombo” ha continuato (e lo fa tuttora) a diffondersi, creando degli stereotipi che uniscono una manipolazione storica a un’analisi spesso superficiale di una nazione che allontana di molto un’analisi più equa dei fatti. Si tende a considerare il movimento indio nella sua totalità come un’etnia unica, oppressa sempre dai Conquistadores e dai loro eredi, tralasciando una visione del fenomeno ovviamente più complessa ma anche più vicina alla realtà.
Intendiamoci: la conquista del continente latinoamericano fu compiuta da manipoli di spagnoli che avevano ideali ben poco “umani” e che nel corso dei secoli hanno provocato atrocità inenarrabili, ma queste pochi migliaia di avventurieri poterono sottomettere l’intero continente approfittando soprattutto delle divisioni spesso crudeli che esistevano (ed esistono) tra le etnie originarie che spesso si sono alleate con gli spagnoli per decimare nemici della stessa razza.
Questo concetto esiste tuttora, perché tra le varie etnie indie che popolano i vari Paesi spesso non scorre buon sangue e la Bolivia, dove vivono ben 63 tribù differenti, ne è una dimostrazione. La consacrazione di Morales a Presidente è stata quella degli Aymarà degli altopiani e gli anni del potere di Evo sono stati contraddistinti anche da espropriazioni di terreni di altri popoli, operazioni spesso condite da delitti che sono stati anche portati a conoscenza dell’Onu.
Difatti gli imbrogli elettorali del 2019 nelle elezioni presidenziali provocarono non solo una protesta popolare gigantesca, ma anche l’allontanamento del “caudillo” dal Paese camuffato da fuga in una serie di indimenticabili foto, nelle quali Evo vestiva i panni dell’oppresso per la gioia non solo dei “radical chic”, ma pure dei Presidenti di Paesi latinoamericani facenti parte del “Patto di San Paolo” e che in sostanza obbediscono al populismo di ispirazione cubana.
È subito difatti circolata la voce del “Colpo di Stato militare” che avrebbe deposto il “legittimo” vincitore delle elezioni (Morales) e installato al potere Janine Añez. Ma i tifosi di questa ipotesi sono stati presto delusi, perché come promesso (anche se con un lieve ritardo dovuto al fenomeno Covid) le elezioni si sono tenute e la vittoria è andata al partito di Morales: ma ciò significa un suo ritorno al potere?
Qui dobbiamo fare delle considerazioni, in primo luogo sull’operato di Añez come Presidente, ma sopratutto sulla mancanza di unità dell’opposizione che ha favorito il MAS. Di certo la gestione dell’ex conduttrice televisiva non è stata delle migliori e ha sofferto delle stesse nefandezze ideologiche (ovviamente all’opposto) della sua controparte politica. Bisogna dire che, seppure con grande ritardo, Añez si è ritirata dalla competizione presidenziale per cercare di fornire un’unità al fronte oppositore al MAS, ma gli errori da lei commessi in questo breve arco di tempo sono stati notevoli, a cominciare dall’aver mostrato la Bibbia proprio il giorno della sua investitura “ad interim” come segno di guida delle sue politiche. In una nazione a maggioranza india (anche se con profonde divisioni al suo interno) un gesto del genere teso a rafforzare il suo modus operandi in rapporto con la minoranza evangelica presente nel Paese non ha certo rafforzato l’unità della Bolivia e, condito a posteriori da altri errori, ha in pratica rivelato un suo concetto di democrazia poco condivisibile.
Bisogna ora vedere che cosa combinerà il nuovo Presidente, se cioè la sua elezione significherà la continuazione del populismo becero di Morales o una rottura di Alberto Arce anche con il passato del suo “capo”. È una ipotesi quest’ultima non tanto campata per aria e già accaduta nel vicino Ecuador, dove il presunto delfino dell’ex Presidente Rafael Correa, Lenin Moreno, una volta al potere ha rotto il filo che lo legava al suo predecessore tanto che il 20 settembre di quest’anno è stato richiesto, attraverso un mandato internazionale, il suo arresto per poter compiere la condanna di 8 anni di carcere per corruzione.
Ora, nelle sue prime dichiarazioni, Arce ha fatto capire di voler fare di testa sua e quindi di allontanarsi dall’ombra di Morales e questo è auspicabile non tanto per rompere con un passato di luci ma sopratutto di ombre del Paese, quanto per iniziare una fase politica in cui la reale democrazia possa instaurarsi in una nazione la cui storia, tra colpi di Stato militari continui e la pseudodemocrazia di Morales, ha bisogno estremo di un segnale di unità che bypassi la breccia etnica di cui la Bolivia deve liberarsi se si vuol parlare di vero progresso e un futuro degno per questo ricchissimo Paese.