Il nuovo Dcpm ha scatenato le contestazioni delle categorie più colpite dal nuovo lockdown, e cioè ristoratori e operatori culturali. Questi ultimi si ribellano contro la chiusura di cinema e teatri, posti dove la capienza era già stata ridotta drasticamente. Vengono così a chiudere luoghi di fama mondiale come il Teatro alla Scala di Milano, per dirne uno. Il che comporta la messa in riposo di migliaia di persone che nei teatri ci lavorano, non solo i musicisti. Si è aperta una battaglia in nome del diritto alla cultura, anche se fa un po’ specie vedere che in questa battaglia si sono auto coinvolti persone che probabilmente in un teatro come La Scala non hanno mai messo piede. Il concetto di cultura, in un paese come il nostro dove ad esempio la Gazzetta dello Sport ha più lettori di qualunque scrittore di libri, è alquanto labile, c’è da chiedersi se dietro tanta protesta non ci siano solo motivi politici piuttosto che culturali.
LA MUSICA CIBO PER LO SPIRITO
In questo dibattito si distingue comunque una autentica personalità che ha fatto e continua a fare la cultura in Italia, il Maestro Riccardo Muti che ha inviato una lettera a porta al presidente del Consiglio Conte sulla chiusura di teatri e sale concerto. “Un appello accorato” lo definisce: “Chiudere le sale da concerto e i teatri è decisione grave. L’impoverimento della mente e dello spirito è pericoloso e nuoce anche alla salute del corpo. Definire, come ho ascoltato da alcuni rappresentanti del governo, come «superflua» l’attività teatrale e musicale è espressione di ignoranza, incultura e mancanza di sensibilità”. Migliaia di artisti e lavoratori dei vari settori dello spettacolo, scrive, “che si sentono offesi nella loro dignità personale”. E’ vero infatti che in Italia, soprattutto la musica, viene considerata da sempre uno svago e non un contenitore culturale. Va anche detto che la musica rock, o pop, è del tutto assente da questo dibattito, quando anch’essa dà da lavorare a migliaia di persone. Ma in Italia solo la musica classica è degna di essere definita cultura. Muti conclude chiedendo di ridare vita alle attività teatrali e musicali “per quel bisogno di cibo spirituale senza il quale la società si abbruttisce”. Ha certamente ragione Muti, la musica è un cibo per l’anima, ma viene da chiedersi quanto gli stessi operatori culturali abbiano fatto per diffonderla e non chiuderla in un ghetto, frequentato dalle classi sociali economicamente più avvantaggiate. Va detto ad esempio che la musica nelle scuole è la grande assenza, da sempre ignorata ed estromessa.