Contro l’ultimo Dpcm del governo si sono scatenate ieri proteste in molte delle maggiori città italiane: Torino, Trieste, Milano, Bergamo, Genova, Avellino, Napoli, Lecce. Manifestazioni e cortei che in alcuni casi sono sfociati anche in aperti scontri con le forze dell’ordine, là dove alle manifestazioni pacifiche dei titolari dei settori produttivi più colpiti, ristoranti, bar, pasticcerie, palestre, si sono uniti ultras ed esponenti dell’estrema destra e dei centri sociali. Il Viminale ha ribadito che agirà con fermezza contro ogni episodio di violenza, ma la tensione resta alta.
Nella conferenza stampa per illustrare i contenuti dell’ultimo Dpcm, Giuseppe Conte ha annunciato che in tempi brevi il Governo provvederà ad approvare un nuovo decreto per compensare le attività colpite dalle nuove limitazioni, sia quelle che hanno dovuto da ieri chiudere totalmente, sia quelle che sono tenute a rispettare vincoli soprattutto orari. I tecnici del Mef sono già al lavoro e non è da escludere che il decreto possa essere varato nelle prossime ore. Per Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, quello dei ristori è uno snodo cruciale “per evitare un’ecatombe. Conosco molte agenzie di viaggi il cui titolare ha preferito chiudere i battenti che stare un anno e mezzo o due con il rischio di fallire e di non poter poi più garantire nemmeno una liquidazione ai propri dipendenti. Altre imprese oggi colpite dalle limitazioni del Dpcm potrebbero fare lo stesso ragionamento”.
Partiamo dall’impatto di questo Dpcm sull’economia: quanto ne risentirà il Pil?
Non solo il 2020 presenterà dati diversi da quelli attesi, ma visto che ci troviamo nell’ultimo trimestre dell’anno, quello che dal punto di vista dell’evoluzione congiunturale influenza largamente l’anno successivo, l’eredità sulla crescita del 2021 sarà pesante. Si allontana certamente l’idea di poter chiudere il 2020 con un crollo del Pil inferiore al 10%, anche perché alcuni dei settori interessati dalle misure restrittive danno un contributo rilevante alla creazione del valore aggiunto, in modo particolare quello degli alberghi, bar e ristoranti.
Di quali cifre stiamo parlando?
Il settore alberghi, bar e ristoranti genera, senza considerare l’indotto, un valore aggiunto di 64 miliardi di euro. È un contributo molto importante se consideriamo che quello dell’edilizia, sia privata che pubblica, si attesta a 68 miliardi. Con il calo del turismo, l’attività limitata degli uffici nelle grandi città, è un settore che ha già subito pesanti perdite di fatturato. I ristoranti possono restare aperti fino alle 18:00, ma tutti sanno che la loro attività prevalente è quella serale, quindi la limitazione oraria significa nei fatti una chiusura totale. Bisogna poi considerare l’indotto e le concatenazioni con altri settori.
Cosa si può dire in merito?
Che ne risentiranno i trasporti, oltre che tutta la filiera agroalimentare e i servizi connessi, come per esempio le tante lavanderie che lavorano interamente o quasi per gli alberghi (che non potranno contare sugli sciatori) o i ristoranti. Ci sarà un impatto notevole anche su settori apparentemente trascurati o nemmeno considerati nella vulgata dei media, che sembrano secondari, ma generano comunque valore aggiunto importante. Pensiamo a quanto vino viene consumato nei ristoranti e non verrà venduto.
Le restrizioni prese sono state quindi eccessive?
Sono state adottate misure molto severe, che non so fino a che punto avranno un impatto reale nel contenimento dei contagi. Mi sembra che si voluta penalizzare l’idea dello svago e del rilassamento delle persone, visto che sono stati chiusi anche teatri e cinema. Non mi interessa come economista polemizzare, vedo però un impatto devastante su settori che sono un fiore all’occhiello della nostra economia e anche importanti per l’immagine del Paese, come la ristorazione e la cultura: sono parti del Made in Italy che rischiamo di amputare pericolosamente. Visto che ormai la decisione è stata presa, non resta che considerare due aspetti.
Quali?
Il primo è l’impatto economico che ci sarà sul Pil sia di quest’anno che del prossimo. Il secondo è l’importanza dei ristori per i settori colpiti. È positivo che sia stato deciso di utilizzare il canale dell’Agenzia delle Entrate, che funziona. Se le procedure e le erogazioni andranno come si deve almeno si darà un minimo di sollievo, altrimenti molte imprese saranno definitivamente messe in ginocchio. Non bisogna sopravvalutare le capacità di resistenza di questi operatori economici in settori come bar, ristoranti, ecc., che tra l’altro sono tantissimi e pesano più come occupati, vista l’alta intensità di manodopera, in alcuni casi molto qualificata, che non come valore aggiunto. C’è il rischio di una mazzata anche per il tessuto sociale del Paese e per questo è cruciale che Gualtieri faccia funzionare come un orologio svizzero la macchina dei ristori.
Sicuramente la tempistica è importante. Ci sono altri fattori da tenere presenti nel predisporre il decreto ristoro?
È importante che si agisca non con sussidi a pioggia, ma sostenendo in modo mirato i settori più colpiti, tra cui anche teatri e cinema. Serve capacità di erogare somme compensative per evitare un’ecatombe. Quanto all’importo effettivo dei ristori, non sono un tecnico e non è il mio mestiere trovare o indicare formule. Posso però augurarmi che dal punto di vista del metodo il Governo voglia dialogare con le categorie per capire qual è l’entità del danno che verrà procurato da questo mini-lockdown e individuare quindi il corrispettivo da far arrivare in maniera efficiente. Sappiamo bene che ci sono stati problemi duraturi e drammatici con la cassa integrazione, pertanto bisognerebbe non ripetere gli errori che hanno generato tali ritardi.
Forse bisognerebbe anche stare attenti a non fare distinzioni nette tra attività che devono restare chiuse e altre che hanno avuto limitazioni di orario.
Sì, in effetti può sembrare quasi una presa in giro limitare alle 18:00 l’attività dei ristoranti quando per il 70% di essi, soprattutto in provincia, il momento clou è la cena. Come dicevo prima, per loro questa limitazione equivale a una chiusura totale e se ne dovrà tenere conto nei ristori.
Abbiamo parlato di effetti sul Pil, sulle imprese, ma inevitabilmente questo Dpcm potrebbe riverberarsi negativamente anche sulle banche…
Sicuramente c’è questo rischio. Già in questi giorni si era parlato di onda lunga dei non performing loans e ancora non abbiamo visto l’impatto del primo lockdown sulla sofferenza dei crediti. È chiaro che le decisioni prese con il Dpcm, che pure sono in parte necessarie, hanno impatti sui settori colpiti e anche su quelli bancario e finanziario. Non va poi dimenticato l’effetto sui conti pubblici, dato che le stime della Nadef non stanno più in piedi, oltre che sugli investimenti delle imprese, che potrebbero essere, nei settori più colpiti, rimandati sine die. Per essere chiari, un ristoratore che è stato già penalizzato con il lockdown ha dovuto fare investimenti per riaprire e ora si troverà nuovamente penalizzato, non investirà più per un bel po’ di tempo, perché il suo primo obiettivo è sopravvivere e non chiudere. Tutto questo porterà fatalmente ad allungare i tempi di ripresa del ciclo economico.
(Lorenzo Torrisi)