Il terrorismo ha sempre torto, è sempre criminale e va sempre condannato. La Francia, duramente colpita, merita solidarietà, preghiere e simpatia. Non è però vietato proporre una considerazione a margine, relativa a errori commessi in passato e da non commettere in futuro.
Agli inizi di ottobre, il presidente Macron ha proposto una legge contro il “separatismo”, i cui dettagli sono stati illustrati – come oggi va di moda – in un testo condiviso su Twitter il 6 ottobre dal ministro dell’Interno, Gérald Darmanin. Un certo numero di politici francesi ha applaudito l’iniziativa con accenti offensivi verso l’islam in generale, prontamente “cavalcati” dal presidente turco Erdoğan e da altri politici del mondo islamico, soprattutto in Pakistan, per presentarsi come riferimenti geopolitici dei musulmani umiliati e offesi.
Il “separatismo”, un tempo chiamato “comunitarismo”, è nel linguaggio politico francese il tentativo di alcune comunità religiose di fare “vita separata” rispetto alla nazione e alle sue istituzioni, contestandone i principi ed educando in particolare i bambini sulla base di valori alternativi a quelli della maggioranza. La Francia ha una sua tradizione di “laïcité” che deriva dalla Rivoluzione francese e dai duri conflitti della Belle Époque fra Stato e Chiesa cattolica, che non coincide con i principi di separazione fra religione e Stato di nessun altro Paese occidentale. I miei colleghi sociologi francesi amano dire che altrove il principio di separazione è nato per proteggere le religioni dallo Stato, in Francia per proteggere lo Stato dalle religioni.
Ne consegue che proporre ai francesi il modello americano di libertà religiosa, o anche il modello italiano fondato sul Concordato con la Chiesa cattolica e le Intese con le altre maggiori religioni, semplicemente non ha senso, e può solo instaurare un dialogo fra sordi. Tuttavia, la Francia oggi vive in un mondo globalizzato, fa parte dell’Unione Europea, ha sottoscritto le convenzioni europee e internazionali sui diritti dell’uomo, che danno ampio spazio alla libertà religiosa. È dunque chiamata non a rinunciare alla “laïcité”, ma a declinarla rispettando i diritti delle minoranze religiose, per cui pure “a pelle” le sue istituzioni non hanno simpatia, che si tratti dell’islam, degli evangelici conservatori, o delle centinaia di movimenti che la Francia, usando il termine in modo estensivo, classifica come “sette”.
Un certo “separatismo” delle minoranze religiose è inevitabile. Il progetto di legge di Macron mira a eliminarlo vietando totalmente la scuola parentale, il cosiddetto homeschooling, e questo per i bambini dai tre anni in su; autorizzando la polizia ad accedere ai luoghi di culto, prendere nota dei sermoni e se del caso interromperli e incriminare il predicatore quando “si criticano le leggi della Repubblica”; e creando un sistema draconiano di scioglimento amministrativo di organizzazioni religiose che non passa dai tribunali ma da una decisione del Consiglio dei ministri.
Ovviamente, per ragioni costituzionali, non sarebbe possibile una legge che prenda di mira solo l’islam. La proposta di legge è formulata in termini generali. Colpirà dunque anche molte comunità non musulmane. Le associazioni dei genitori che educano i figli nelle scuole parentali hanno già fatto rilevare che tra i 50mila bambini che frequentano queste scuole in Francia i musulmani sono una piccola minoranza. La maggioranza è costituita da cattolici e protestanti, che magari cercano di difendere i figli dall’ideologia gender che, a torto o a ragione, considerano all’opera nelle scuole di Stato.
Non sono solo gli imam radicali a criticare le leggi della Repubblica nei loro sermoni. Un prete o un pastore conservatore criticherà facilmente le leggi sull’aborto o il matrimonio omosessuale, e un suo omologo progressista le leggi che favoriscono l’espulsione di immigrati “sans papiers”, senza documenti.
Infine, esponenti del governo hanno già spiegato alla stampa francese che saranno sciolte “sette” e gruppi “evangelici” che propugnano valori alternativi alla Repubblica, e che questi scioglimenti saranno anzi più facili rispetto a quelli delle associazioni islamiche. Il rischio è che, come avviene in Russia, una legge contro l’“estremismo religioso”, presentata come necessaria per colpire l’islam radicale, sia poi usata contro gruppi cristiani e altri controversi per la loro dottrina ma certamente pacifici come i Testimoni di Geova.
I fatti di Nizza creeranno una spinta emotiva per l’approvazione della legge contro il “separatismo”. E anche per il moltiplicarsi di dichiarazioni di esponenti politici anti-separatisti, i quali attaccheranno ogni forma di islam che non si conformi all’elusivo ideale dell’“islam des Lumières”, l’islam illuminista, che esiste tra una minoranza di intellettuali e di imam favoriti dalle istituzioni statali ma è cordialmente detestato dalla maggioranza dei musulmani francesi.
Dipingere ogni musulmano che voglia rimanere musulmano, e che abbia dell’islam la rappresentazione conservatrice che è propria della maggioranza dei musulmani in Francia e nel mondo, come un terrorista porta acqua proprio al mulino dei terroristi e di chi come Erdoğan o qualche politico del Pakistan oggi cerca lo scontro per ragioni geopolitiche. Si crea una spirale perversa: gli attentati terroristici generano dichiarazioni se non leggi “islamofobe”, e queste dichiarazioni e leggi favoriscono i terroristi e chi se ne serve per i suoi fini politici.
Mantenere la calma non è mai sbagliato. Il terrorismo è un crimine, ma così com’è stata presentata, la legge contro il separatismo è un errore. Le onde emotive possono essere cavalcate con successo a fini elettorali, ma quando si abbattono sulla società hanno sempre effetti devastanti.