Sia pur nel cupo contesto in cui, a ogni livello, viviamo e ci troviamo a operare, mi sento ancora ottimista. E mi sento tale non perché sia “un pessimista disinformato”, ma perché mediamente credo ancora nelle persone, nelle loro capacità e nella loro attitudine a sfornare idee e a trasformarle in progetti. Al contrario non credo più alle organizzazioni pubbliche e a chi, salvo rare eccezioni, le gestisce. Nonostante questa premessa ritengo che stiamo vivendo un momento di apparente calma prima della tempesta. In altri termini non abbiamo ancora la piena percezione dei nefasti effetti a breve termine che lo shock subito produrrà. E siccome gli ultimi decenni provano che gli shock, sia pur con diversa intensità, si ripetono, occorre ragionare su indispensabili misure capaci di produrre effetti positivi nel breve termine e soprattutto di costruire resilienza rispetto ai futuri eventi negativi.
A tal proposito non si può non registrare la radicale inversione di tendenza del governo europeo in ordine al sostegno e all’intervento del pubblico nell’economia. Spinto infatti dall’iniziativa di Macron, a partire dalla “start up nation”, sostenuta ora da Merkel, la Commissione europea ha consolidato un indirizzo strategico volto a sostenere l’intervento pubblico in settori strategici dell’economia e quindi della nostra vita. E l’intervento del pubblico quale coinvestitore rappresenta un ottimo viatico per non interrompere il flusso di investimenti privati, anche internazionali, e anzi per attrarne di nuovi.
Sulla scorta della pandemia sembra abbandonata la politica dell’austerity e della concorrenza a ogni costo, certamente più adeguata a sostenere economie in salute e non provate da ripetuti shock. Se l’assunto è corretto, come pare, è certamente giusto riflettere su come meglio utilizzare le risorse pubbliche comunitarie e nazionali. Negli ultimi mesi nel nostro Paese ci si sta affannando a raccogliere centinaia di progetti asseritamente meritevoli di essere finanziati in tal modo. E si sono sviluppati dibattiti infiniti su driver quali la digitalizzazione, le innovazioni tecnologiche, il futuro del pianeta, ecc. Tutte riflessioni e progetti assolutamente condivisibili, di lapalissiana importanza, ma che non affrontano quello che a mio avviso è il problema principale su cui concentrarci oggi, ovvero l’adozione di misure destinate a produrre impatti positivi a brevissimo termine. E il principale driver da utilizzare per adottare qualsivoglia misura è la sostenibilità. E non parlo in questo caso di finanza sostenibile, ma di finanze per garantire lo sviluppo sostenibile e conseguentemente di misure che abbiano ricadute positive sia dal punto di vista ambientale che sociale.
A mio avviso sono tre le principali direttrici su cui muoverci nell’intendimento dichiarato di elaborare una sorta di piano “post-bellico”. Mi riferisco a un piano che utilizzi prioritariamente le risorse pubbliche comunitarie e nazionali per finanziare progetti e iniziative nei settori (da intendersi in senso lato) dell’istruzione, della sanità e della filiera dell’edilizia. Mi soffermo in particolare sull’ultima direttrice perché è quella che conosco meglio.
Sulle colonne del Sole 24 Ore si è parlato nei giorni scorsi di una moderna riedizione del cosiddetto Piano Fanfani. Credo che sia un’importante e condivisibile riflessione. La filiera dell’edilizia produce oltre il 10% del Prodotto interno lordo e la sua riattivazione è suscettibile di produrre effetti a breve termine, proprio come era necessario secondo il citato Piano Fanfani nella crisi post-bellica e com’è necessario ora ! Ovviamente non è credibile una mera riedizione di quel piano, ma occorre renderlo coevo, in modo tale da produrre in quantità gli stessi effetti ma in un contesto profondamente mutato rispetto a 70 anni or sono, dando anche risposte adeguate sotto il profilo ambientale e sociale.
Non si tratta quindi di prevedere ulteriore consumo di suolo, ma di concentrarci, favorendone la rapida attuazione, sulle migliaia di ambiti di rigenerazione urbana presenti sul territorio del Paese, e quindi utilizzare il criterio della riqualificazione del territorio come rimedio al degrado urbano. Inoltre, è opportuno che gli operatori, specialmente i grandi sviluppatori, mutino il loro modello di business e diano risposti efficaci alle domande delle comunità. Non vi è dubbio in proposito che le politiche urbanistiche dei decenni passati abbiano provocato gravi danni sia sociali che economici. E le responsabilità sono da suddividersi tra i governi e gli stessi operatori. Senza scomodare l’abusato esempio delle banlieue, per molti anni ci si è limitati a offrire volumi, senza considerare la domanda di mercato. Ciò ha prodotto una percentuale insostenibile di “invenduto”, aggravando le varie crisi economiche che si sono succedute, e ha creato ulteriore degrado. La nuova offerta dovrà al contrario basarsi su servizi il più possibile “ritagliati” su target differenziati. E potrà essere maggiormente rivolta al mercato delle locazioni, rispondendo in tal modo a una crescente domanda sociale. In particolare, gli operatori dovranno elaborare un’offerta abitativa non più basata su spazi e volumi, ma al contrario su una pluralità di servizi dedicati all’utilizzatore finale, differenziati per target (studenti, anziani, famiglie). Ciò significa oltretutto che gli investimenti dovranno essere maggiormente ponderati in logiche di medio e lungo termine. Torniamo però alle possibili misure da introdurre per incentivare l’attuazione dei piani di rigenerazione urbana e tesi a favorire l’offerta di alloggi in locazione.
Gestione Iva sull’offerta residenziale. Oggi la più concreta possibilità per lo sviluppatore è quella di recuperare l’Iva pagata sui costi di bonifica/progettazione/costruzione applicando l’Iva al corrispettivo derivante dalla locazione o dalla vendita di ogni singolo immobile. Ciò comporta un’evidente maggiore spesa per il locatario e una perdita di competitività sul mercato dello sviluppatore. Il rimedio, sulla falsariga di ciò che avviene in altri Paesi, può semplicemente consistere nel consentire al conduttore di detrarre nella propria dichiarazione dei redditi l’importo corrispondente all’Iva pagata sul canone di locazione, a fronte di un contratto registrato e riguardante unità abitative in complessi immobiliari specificamente destinati alla locazione.
Modifica della Legge Tognoli. La legge citata, del 1989, prevede l’obbligo per le nuove costruzioni di riservare spazi per parcheggi in misura non inferiore a un metro quadro per ogni dieci metri cubi di costruzione. Tale norma, pur condivisibile nel momento della sua promulgazione, risulta ora obsoleta in particolare con riferimento alle grandi città dove la mobilità con auto privata si sta drasticamente riducendo in favore della mobilità dolce e dei servizi di sharing, rendendo antieconomica e inefficiente la realizzazione del quantitativo di parcheggi richiesto. Il rimedio consiste nella facoltà per lo sviluppatore di monetizzare, anche integralmente, tali parcheggi, purché nel contesto di progetti di interesse pubblico, quali a titolo esemplificativo la ristrutturazione di edifici scolastici e ospedalieri esistenti, ovvero la rifunzionalizzazione di spazi pubblici quali campi sportivi, parchi giochi e aree per bambini.
Procedura urbanistico-amministrativa straordinaria. L’attuazione dei progetti di rigenerazione urbana, per quanto riguarda soprattutto l’iter urbanistico-amministrativo, vanno spesso incontro a rallentamenti (che ovviamente disincentivano gli investimenti) causati dall’enorme mole di pareri che il progetto deve recepire e da un imponente flusso informativo difficile da gestire per il numero degli enti coinvolti nel progetto medesimo. Inoltre, spesso immotivati o strumentali poteri di veto sono esercitati dai cosiddetti comitati spontanei privati. La proposta consiste, per i progetti di rigenerazione urbana che prevedono opere di interesse pubblico (restituzione di aree dismesse, spazi verdi, servizi pubblici, residenziale in locazione, social housing), nel prevedere l’istituzione di una struttura pubblica straordinaria (modello simil Expo) ad hoc, che diventi l’unico interlocutore e filtro tra lo sviluppatore e la sfera pubblica, con l’obiettivo di snellire e accelerare il processo autorizzativo.
Come si può agevolmente rilevare si tratta di misure semplici, a costo zero o comunque modestissimo per il pubblico, ma capaci di costituire importante leva di attrazione di capitali privati, anche su scala internazionale. Proviamo, anche perché spinti dalla necessità, a uscire dalle politiche di annunciazione e caliamoci con umiltà sul terreno del pragmatismo e della concretezza.