Siamo arrivati al giorno delle elezioni Usa 2020, un appuntamento di norma molto atteso, ancor più quest’anno vista la situazione dell’economia globale alle prese con un’importante crisi. I sondaggi danno in testa il candidato democratico Joe Biden, ma non mancano alcune analisi secondo cui sarà invece Donald Trump a ottenere la vittoria nonostante i pronostici, come del resto è avvenuto quattro anni fa nella sfida contro Hillary Clinton. Non è da escludere che per sapere il verdetto definitivo possa passare qualche giorno, dato che l’emergenza Covid ha portato molti cittadini statunitensi a optare per il voto postale, il cui spoglio è più lento se si considera che alcuni Stati ritengono valide anche le schede che pervengono dopo il 3 novembre, purché timbrate entro tale data. Mario Deaglio, Professore di Economia internazionale all’Università di Torino, ricorda che potrebbe esserci anche l’eventualità di «un risultato contestato e di un conseguente periodo di disordini, che potrebbero durare anche alcuni mesi. A quel punto ci sarebbe un periodo di eclissi per gli Stati Uniti sulla scena mondiale, ci sarebbe una sorta di guerra civile in tono minore».
Con quali conseguenze economiche?
Gli Usa, e quindi il dollaro, diventerebbero più deboli e la Cina potrebbe approfittarne per rimettere sul tappeto una proposta che da alcuni anni continua a ripresentare in diversi summit internazionali: la creazione di una nuova moneta globale simile all’Ecu, cioè una valuta artificiale sintesi delle diverse monete nazionali che possono variare, ma solo di poco, nel tasso di cambio.
Il dollaro sarebbe penalizzato?
Resterebbe la divisa principale di questa nuova valuta artificiale, che comprenderebbe anche lo yuan, lo yen, l’euro, oltre che la sterlina e il franco svizzero. Diventerebbe però questa moneta, a scapito del biglietto verde, il riferimento per i commerci veramente internazionali come quello del petrolio. Nel caso poi di un risultato elettorale contestato con caos negli Stati Uniti, i cinesi cercheranno chiaramente di mostrare la debolezza Usa per provare a entrare sempre più, con la loro forza finanziaria, in altre aree commerciali come l’Europa.
Se invece il verdetto arrivasse in modo nitido e confermasse Trump alla Casa Bianca, quali conseguenze si avrebbero per l’economia globale?
Probabilmente verrebbe rafforzata la sua visione per cui i servizi offerti al mondo dagli Stati Uniti vanno pagati, a cominciare dalla Nato, su cui l’attuale Presidente ha già chiesto maggior impegno economico ai Paesi europei. Ci sarebbe maggior isolazionismo, con la ricerca di accordi bilaterali, più facili da raggiungere con la Gran Bretagna che non con l’Ue nel suo complesso. Questa sorta di autarchia, non completa ovviamente, potrebbe creare nuovi posti di lavoro in America, ma i beni diventerebbero più costosi: ci sarebbe una specie di stagflazione.
Trump andrebbe ancora più a fondo nella sua battaglia con la Cina?
Sono state tante finora le minacce del Presidente, ma non credo che passerebbe ad azioni più forti, una guerra vera e propria per intenderci, contro la Cina. A parte il caso del generale iraniano Soleimani, non ci sono state azioni militari Usa significative in questi quattro anni.
Nel caso invece avessero ragione i sondaggi e vincesse Biden cosa accadrebbe?
Non dobbiamo pensare a una differenza tra i due candidati come se si passasse dal bianco al nero. Probabilmente in caso di vittoria di Biden ci sarebbe una maggiore enfasi sulla riduzione delle disuguaglianze sociali, i giganti Usa come Google, Apple, Facebook e Amazon, i cosiddetti Gafa, potrebbero anche essere disposti a fare la loro parte per consentire al nuovo Presidente di gestire questa piccola ma importante ridistribuzione dei redditi verso il basso. Tuttavia, vorranno in cambio un po’ di sostegno nel mondo, per non lasciare ai cinesi le reti mondiali. Per il resto credo che non cambierebbe molto rispetto a una vittoria di Trump: si potrebbe dire che Biden è più a destra di Obama.
Per l’Europa cosa cambierebbe con la vittoria di Trump piuttosto che di Biden?
Trump sarebbe più isolazionista e sarebbe meno “collaborativo” con l’Europa, mentre Biden cercherebbe di tenere a freno l’avanzata cinese. Non cambierebbe molto, invece, per quel che riguarda la necessità, per Washington, di ridurre il surplus europeo negli scambi commerciali tra le due sponde dell’Atlantico. Forse in caso di vittoria del candidato democratico ci verrebbe dato un po’ più di tempo per farlo.
Servirà dunque un cambiamento degli europei.
Probabilmente sì e l’idea della ripresa basata sull’economia verde, non semplice e costosa, potrebbe essere un buon punto di partenza. Non dobbiamo poi dimenticare un aspetto importante che coinvolge direttamente l’Italia.
Quale?
Dal prossimo 1° dicembre il nostro Paese assumerà la presidenza del G20, un consesso dove vengono presentate e qualche volta attuate importanti strategie, com’è avvenuto dopo la crisi del 2008 al G20 di Londra del 2009, nel quale gli Stati Uniti hanno avanzato la loro proposta e gli altri Paesi hanno accettato di seguirla e in qualche modo ha funzionato. L’Italia avrà quindi un ruolo importante perché potrà convocare le riunioni e spetterà a lei cercare un accordo tra tutti sui temi più importanti, compresi quelli economici. In un momento in cui le Nazioni Unite sono in grande crisi, l’embrione del Governo mondiale passa dal G20.
L’Europa dovrà cambiare il suo atteggiamento nei confronti della Cina?
Non ha molta scelta, secondo me dovrebbe cercare di tenere il piede in due scarpe. Anche perché da un lato le conviene mantenere una garanzia militare di ultima istanza con la Nato, anche se la questione turca complica il tutto, ma dall’altro la Via della seta è commercialmente importante: la Cina è un buon mercato e un buon produttore.
Le banche centrali stanno seguendo grosso modo la stessa linea: continueranno a farlo a prescindere dal risultato delle elezioni Usa?
Il problema è simile per tutti e la soluzione è più o meno obbligata; in questo momento non si può non emettere moneta. L’unica differenza è che la Bce ha sempre fatto di tutto per farlo in maniera mirata, in modo che finisca all’economia reale, mentre la Fed non si pone questo problema.
(Lorenzo Torrisi)