Uno degli aspetti stucchevoli della mentalità di oggi, che i social hanno esacerbato, è che con la motivazione della libertà d’opinione tutti sono esperti di tutto. Così abbiamo politologi ad ogni angolo di strada, esperti di scuola che sanno meglio dei docenti come insegnare, medici da internet che suggeriscono ai dottori le terapie e i farmaci da prescrivere e, ultimamente, una fioritura di virologi onniscienti sui rimedi al coronavirus. Un tema poi su cui davvero tutti sanno cosa pensare è la religione, specialmente il cristianesimo e la Chiesa cattolica: tonnellate di opinioni e idee già ben fissate che rendono superfluo lo scrigno bimillenario di esperienza e teologia su questa religione, centro ormai di una ridda di sentenze, spessissimo negative, sempre confuse che trapelano ovunque, dalle serie di Netflix, ai commenti dei social, alla teologia negativa e offensiva di maestri del pensiero laico, alle dispute da bar de noantri, alla satira blasfema di Charlie Hebdo assurta a corifeo della libertà repubblicana. Ma anche i fedeli non scherzano con le sciocchezze: sia quelli più papisti del Papa, sia quelli che, pur professandosi credenti, non saprebbero dire neppure quanti sono i Vangeli.
A tutti coloro che fossero interessati all’argomento viene da consigliare di documentarsi almeno un po’. Vale in verità per tutti gli argomenti, perché in ogni campo occorre essere seri prima di sparare sentenze, perfino nel calcio. Nel caso particolare del cristianesimo, della sua essenza storica, delle sue origini, della sua situazione attuale, si potrebbe iniziare da un volume (volendo non considerare il buco temporale del lockdown) fresco di stampa: Vivere da cristiani in un mondo non cristiano. L’esempio dei primi secoli (Lindau, 2020). Leonardo Lugaresi, l’autore, è un esperto di letteratura patristica dei primi secoli, oltre che un ottimo insegnante e uno scrittore limpido ed efficace. Il libro, con postfazione di Massimo Camisasca, racconta l’avvento del cristianesimo dei primi secoli con un chiaro, continuo parallelismo coi giorni nostri, documentando fittamente il percorso. L’assunto è chiaro: la nostra epoca equivale in diversi aspetti (non tutti) ai primi secoli, in virtù del fatto che, come ci hanno avvisato Claudel ed Eliot, essa è “non più cristiana”.
Assomiglia ai primi secoli più che, ad esempio, al periodo di San Benedetto, quando certi criteri culturali cristiani erano già popolari, pur in un mondo devastato dai barbari – questo per spazzare uno dei tanti giudizi affrettati che si sentono dare. “…Ed è appunto la nostra percezione il punto da cui vogliamo ripartire. Forse è vero che i popoli d’Europa si dicono ancora in buona parte cristiani, ma c’è motivo di credere che si tratti per lo più di un cristianesimo nominale, e che il cristianesimo reale appartenga ormai all’esperienza di un numero molto ridotto di persone”.
Questa percezione è dunque il punto di partenza, che connette nel volume epoche distanti duemila anni. L’autore parte dai numeri: ci dice, ad esempio, che a Roma, 250 anni dopo la nascita di Cristo, i sacerdoti cristiani erano 46 e i fedeli circa 30mila, in una città che sfiorava il milione di abitanti. E quando l’imperatore Costantino impose la svolta sulla libertà di culto, che qualcuno pensa ancora dovuta alla pressione dei cristiani ormai maggioranza, questi erano in realtà il 10 per cento o poco più dei 60 milioni di abitanti dell’Impero. Situazione molto simile numericamente a quella di oggi, come si vede.
Lugaresi insiste molto su un concetto che considera centrale nell’azione dei cristiani dei primi secoli per la loro crescita e affermazione, ancorché molto lente, come abbiamo visto. Concetto centrato su due parole greche: krisis (giudizio) e chresis (retto uso), ovvero “vagliate tutto e trattenete ciò che vale”. Ogni aspetto della vita era vagliato alla luce della rivelazione, della fede e della vita della comunità: in questo consisteva la particolare forma di relazione dei cristiani col mondo di allora. Essi non erano né chiusi in comunità auto referenziali, né individui solitari che vivevano in un mondo ostile. Perfettamente integrati col proprio tempo, dentro la storia della loro epoca, pure “mettevano in crisi” tutto ciò che il loro tempo proponeva come verità: giudicavano, insomma, azione che l’autore ritiene giustamente “bellissima, oggi incompresa”.
La seconda parte del libro declina in modo molto opportuno questa costante azione del cristianesimo delle origini in quattro campi che sono quanto mai attuali: la legge (i tribunali), la scuola, l’economia e lo spettacolo (i ludi). Di ognuno di essi l’autore racconta le testimonianze a cui i testi storici ci permettono di attingere, per paragonarvi la nostra epoca. Epoca in cui, a proposito del primo punto, tanto per fare un esempio, vengono sempre più spesso promulgate leggi contrarie alla verità cristiana. Ci si può stupire a leggere che i primi cristiani non tendevano a fondare proprie scuole, accettando tranquillamente che i loro figli frequentassero quella che oggi chiameremmo la scuola pubblica, sicuri com’erano che il loro giudizio, insegnato e testimoniato ai figli, sarebbe stato più educativo. Molto utile, per noi contemporanei, la lettura dei capitoli riguardanti i temi caldi dell’economia e dello spettacolo, così invadenti nella nostra vita e su cui siamo così disarmati nel comprenderne l’essenza e le dinamiche. Il “conosci te stesso” degli antichi vale ancor di più oggi per chi, credente o non credente, appartiene a una storia che si attualizza quanto più si comprende e su cui sarebbe meglio evitare di continuare a dire sciocchezze.