Anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è detto molto preoccupato per il diffondersi dei disturbi mentali nel periodo della pandemia che stiamo vivendo. Lo ha esplicitato lo scorso 10 ottobre, intervenendo nel corso della Giornata mondiale della sanità mentale: “Le vicende della pandemia hanno acuito la sofferenza delle persone affette da patologia psichica, spesso costrette a vivere lontano dalle proprie famiglie per ragioni terapeutiche, e che si sono trovate in alcuni casi ad affrontare in solitudine gli effetti della chiusura”. Secondo uno studio effettuato dall’Istituto Elma Research per conto di Angelini Pharma in molti paesi europei, “l’epidemia di Covid-19 ha provocato disturbi psicologici durante il lockdown nel 65% degli italiani, nel 63% dei britannici, nel 69% degli spagnoli e nel 50% dei tedeschi, con una media europea del 58%. Tra i sintomi citati: insonnia, difficoltà a dormire o risvegli notturni (19%), mancanza di energia o debolezza (16%), tristezza o voglia di piangere (15%), paure e timori eccessivi (14%), mancanza di interesse o piacere nel fare le cose (14%), panico e attacchi di ansia (10%).
Secondo il professor Cesare Maria Cornaggia, psicoterapeuta, psichiatra, esperto di persone con disabilità o malattie neurologiche, già direttore di Psichiatria afferente all’Ospedale San Gerardo di Monza, da noi intervistato, “bisogna fare attenzione a non trasferire questi dati in un aumento delle patologie. Questo eventuale aumento sarà determinato da nuovi studi, di cui è ancora presto parlarne in senso stretto”. Ci sono studi, aggiunge, “che hanno cercato di evidenziare quanto questa depressione fosse legata al lockdown in quanto tale piuttosto che alle preoccupazioni o ai disagi economici susseguenti al lockdown, come già avvenuto nel corso della crisi economica del 2008. Quella che sicuramente è in aumento è una insicurezza sul futuro, una difficoltà a poter progettare il futuro, un senso di ignoto che pervade le persone”.
I dati forniti da varie ricerche evidenziano secondo lei il fatto che prima della pandemia vivevamo in una sorta di bolla che ci faceva sentire al sicuro e che la pandemia ha invece sgonfiato, lasciandoci incapaci di reagire?
Sicuramente sì. Vorrei però fare una premessa per dare la giusta dimensione ai dati citati. Ha parlato di studi tramite interviste così come ci sono studi in tutto il mondo effettuati con la somministrazione di scale e test. Questi studi evidenziano certi elementi come l’insicurezza, il timore per il futuro, la paura e l’ansia, però questo non vuol dire che possiamo trasferire questi dati in un aumento di una patologia in senso stretto. È importante capire questo, perché un aumento di una patologia andrà a determinarsi con nuovi studi basati sull’osservazione. È ancora presto per parlarne.
Intende dire che queste patologie erano già presenti?
No. Intendo dire che evidenziare in un sondaggio che c’è ansia e paura o un senso di insicurezza sul futuro è un dato psicologico, ma non per questo si può trasformare in una disamina psichiatrica. Altrimenti il rischio è di pensare che il 60% degli italiani soffre di una patologia.
Quindi?
Quella che è in aumento è una insicurezza sul futuro, una difficoltà di poter progettare il futuro, un senso di ignoto che pervade. Sono d’accordo quando lei dice che eravamo abituati a vivere in uno stato di sicurezza, questo è vero, anzi direi anche di più: ci eravamo illusoriamente convinti che potevamo controllare la realtà, mentre ogni vita sensata sa che la realtà non si controlla. Si pensava che la morte fosse un fatto casuale, come un tumore o un incidente, e che le malattie infettive erano state sconfitte, invece l’ignoto che non vediamo, e al quale non sappiamo rispondere, ci uccide. Da qui nasce l’insicurezza.
Siamo dentro una società che a differenza di un tempo ha perso il senso della morte, l’ha censurata per non sentirsi disturbata?
Sì, è una mentalità che ha spazzato via la morte intesa come componente della vita.
Però, già ancor prima del Covid, la depressione e i disturbi mentali sono le malattie che crescono di più nel mondo. In che modo questo trend ha a che vedere con la pandemia?
Tutto ciò è verissimo, ma a questo riguardo vorrei soffermarmi sui dati. Noi sappiamo che l’osservazione di un aumento in termini generali del fenomeno della depressione che accompagna questi disturbi di ansia e di panico, che io definirei post traumatici da stress, è una patologia che viene evidenziata nel corso della pandemia e del lockdown. Ma questi fattori dovremo ancora analizzarli, in quanto, per esempio, vi sono alcuni studi in cui è stato verificato quanto questa depressione fosse legata al lockdown in sé piuttosto che alle preoccupazioni o ai disagi economici susseguenti al lockdown, e ciò andando a vedere certe curve della depressione che si osservavano nella crisi economica del 2008.
E non abbiamo ancora una risposta?
Ci sono varie questioni. Questo aumento della depressione a che cosa è legato? Al lockdown in quanto tale? Alla pandemia come momento di grave incertezza sul futuro? Oppure è legato alla paura delle conseguenze economiche? O ancora: quanto questi fattori sono legati fra loro? Non lo sappiamo ancora.
In questa seconda ondata è emerso un elemento nuovo: la rabbia. Lo vediamo nelle manifestazioni o nei commenti sui social, un rancore profondo contro tutti, dalle istituzioni agli esperti della sanità. Anche lei ha colto questo elemento?
Certo. La rabbia è molto spesso dovuta all’incontro con la propria impotenza, legata anche alla paura. C’è molta paura oggi, senza considerare il fatto che la rabbia è il rovescio della medaglia della depressione. Il fenomeno è uno dei punti su cui si sta anche cercando di lavorare, come pure sui casi di suicidio.
Che consigli si sente di dare?
Dare dei consigli è sempre difficile, ma credo che non sia ancora il momento della crisi degli aspetti psichiatrici legati al lockdown. Durante il lockdown, anzi, le cose sono andate anche meglio di quanto potevamo aspettarci. Gli psichiatri, i servizi e le istituzioni saranno portate a un lavoro extra importante. Bisognerà prepararsi ad andare incontro a una emergenza psicologica-psichiatrica ancora da venire.
(Paolo Vites)