Era il giorno del “giudizio” ieri per il Decreto Bonafede sulla carcerazione dei boss della malavita (in precedenza liberati dalla famosa circolare Dap del 21 marzo 2020 nel pieno delll’emergenza Covid): ebbene, la Consulta ha dato ragione a quello stesso decreto che qualche settimana dopo, a seguito delle fortissime proteste per la messa in libertà di diversi criminali e boss (anche al 41-bis), aveva riportato in carcere almeno la metà dei condannati. In sostanza, la Corte Costituzionale ha dato ragione al Ministro Bonafede dando invece torto ai magistrati dei tribunali di Sassari, Avellino e Spoleto che avevano impugnato il Dl antiscarcerazioni per presunte illegittimità costituzionali. Le norme censurate dai tribunali, motivo per cui si è dovuti ricorrere fino alla Consulta, sono due: il decreto legge 10 maggio 2020, n.29 e il decreto legge 30 aprile 2020, n.28. Nel primo caso sollevato alla Corte si tratta di un ricorso collegato da Pasquale Zagaria, boss scarcerato a Sassari per motivi di salute durante l’emergenza Covid ma poi rimesso al 41 bis (a Opera, Milano) per effetto del DL Bonafede. Il secondo caso sollevato riguarda invece una detenuta 76enne ad Avellino, anch’essa affetta da grave infermità fisica come Zagaria; infine, detenuto a Terni messo ai domiciliari per motivi di salute dopo la circolare Dap di fine marzo.
DECRETO BONAFEDE, COSA HA DETTO LA CONSULTA
Il motivo dell’impugnamento e censura da parte dei tribunali del Dl Bonafede riguarda sostanzialmente il medesimo motivo: per motivi di salute, nel pieno di una pandemia, una circolare aveva dato potere al tribunale di sorveglianza di valutare caso per caso l’effettiva possibilità di allentare alcune carcerazioni. Con il Decreto Bonafede invece, dopo le polemiche nazionali montate, si è deciso per un dietrofront che rischia di minare l’autonomia della magistratura di sorveglianza: questo però per la Consulta non sarebbe avvenuto e non vi sono le condizioni di incostituzionalità in quel decreto. «Il decreto anti scarcerazioni varato dal governo nel maggio scorso non viola la Costituzione», spiega il comunicato della Corte in attesa delle motivazioni conclusive in uscita entro 60 giorni. «La disciplina censurata impone ai giudici di sorveglianza di verificare periodicamente la perdurante sussistenza delle ragioni che giustificano la detenzione domiciliare per motivi di salute. A tal fine, i giudici sono tenuti ad acquisire una serie di documenti e di pareri, in particolare da parte dell’Amministrazione penitenziaria, della Procura nazionale antimafia e della Procura distrettuale antimafia», si legge ancora nelle decisioni della Corte Costituzionale, la quale giudica che tale disciplina non sia in contrasto con il diritto di difesa del condannato.