Numerose persone, in Italia, sono malate. Alcune di esse hanno i capelli biondi. Alcune di esse amano la montagna. Alcune di esse sono sposate. Alcune di esse sono positive al virus Covid-19. Ovviamente, non tutti coloro che hanno i capelli biondi sono malati. Non tutti coloro che amano la montagna sono malati. Non tutti coloro che sono sposati sono malati. Non tutti coloro che sono positivi al Covid-19 sono malati.
Appare importante impostare correttamente le questioni dal punto di vista metodologico.
All’inizio della pandemia, la positività al Covid veniva quasi equiparata allo stare male; oggi, a distanza di molti mesi dall’inizio della pandemia, abbiamo imparato che non è così. Abbiamo cioè imparato che la positività al Covid-19 ha una correlazione molto, molto bassa con l’essere malati. Soltanto una quota minima delle persone positive al Covid-19 ha problemi di salute. Il 14 ottobre Giorgio Palù, ex presidente della Società italiana ed europea di virologia, ha affermato (fonte Adnkronos): “ormai i dati ufficiali ci dicono che il 95% dei positivi è asintomatico. Ciò rende del tutto irrazionale e non scientifico voler inseguire gli asintomatici puntando al contagio zero tramite i tamponi molecolari”.
Le comunicazioni che ogni giorno i media diffondono stanno provocando una pesante distorsione. Tali comunicazioni sono evidentemente modellate sullo scenario di inizio pandemia, quando lo status di “contagiato” significava, pressoché certamente, essere “malati” e quando, a causa della scarsa conoscenza che i sanitari avevano del virus e quindi a causa delle inappropriate terapie, essere malato di Covid significava spesso anche andare verso la morte. Anche le nostre menti sono state modellate dalla struttura dei dati che ha preso forma all’inizio della pandemia.
Guardiamo, ancora oggi, al numero dei contagiati Covid, trascurando di considerare che esso è sempre meno importante e potrebbe anche essere irrilevante se, all’interno di tale gruppo, il numero dei malati e dei deceduti continuasse a scendere o arrivasse a zero. Lo schema mentale di inizio pandemia oscura dunque, nella fase in corso, i fatti, generando percezioni, convincimenti e comportamenti non coerenti con la realtà. È come se, avendo assistito a una scena in cui tre persone dai capelli biondi erano malate, pensassimo che tutti quelli che hanno i capelli biondi sono malati.
In democrazia, dove gli umori del demos condizionano i comportamenti delle autorità politiche, queste distorsioni rischiano di generare comportamenti istituzionali a loro volta inappropriati e dannosi per la popolazione medesima.
Il popolo dei contagiati Covid è dunque molto, molto diverso da quello dei malati. Contribuisce a dimostrarlo il fatto che l’età media dei positivi è 42 anni, mentre l’età media dei deceduti per Covid (tralasciando qui l’analisi, che pure sarebbe necessaria, del rapporto del Covid con altre patologie) è 80 anni.
Detto questo, non deve sfuggire la circostanza che la straordinaria velocità di propagazione del virus Covid-19, nel moltiplicare i contagi, rischia comunque di causare, anche se le percentuali di letalità (deceduti/contagiati) sono molto basse (e comunque sconosciute, visto che si conosce il numero dei “tamponati positivi” ma non quello dei “contagiati”, visto che molti di essi lo sono senza essersi sottoposti a tampone), un numero molto alto di decessi.
Ciò nondimeno, appare necessario correggere i sistemi informativi e la struttura dei dati distribuiti alla popolazione, perché non della paura, ma della consapevolezza devono nutrirsi i comportamenti degli adulti e dei liberi e quindi gli atteggiamenti delle istituzioni democratiche.