Una gravidanza fuori dal corpo delle donne: è questo il confine etico che alcuni scienziati vogliono spingere. Ma riusciranno davvero a sostituire l’esperienza della nascita umana? L’intenzione è già sufficiente a destare molte polemiche. È ovviamente presto per dirlo, anche perché sono ad una fase prematura, ma è innegabile il fatto che una parte della comunità scientifica sia al lavoro per realizzare uteri artificiali con cui i futuri genitori possano monitorare il feto in tempo reale. Come sempre comunque si comincia dagli animali. Un esperimento è stato, infatti, condotto nei mesi scorsi su un agnello. Come riportato dal Guardian in estate, in un laboratorio scientifico di Philadelphia hanno realizzato un utero artificiale nel quale hanno fatto crescere un agnello. Vedendolo galleggiare in un sacchetto di plastica trasparente, con il cordone ombelicale collegato a tubi luminosi pieni di sangue, il pensiero vola al film Matrix. In questo esperimento la gestazione non è stata del tutto sostituita, in quanto gli agnelli sono stati prelevati dal grembo materno con taglio cesareo e poi immersi nella “Biobag” in un’età gestazione che corrisponde a 23-24 settimane negli esseri umani. Di sicuro però ciò rappresenta un punto di partenza.
UTERO ARTIFICIALE, GRAVIDANZA FUORI DAL CORPO?
La “Biobag” è stata resa pubblica nell’aprile del 2017, quando il team dell’ospedale pediatrico di Philadelphia ha pubblicato una ricerca sulla rivista Nature Communications, e ora attende l’approvazione della Fda. Nello studio spiegavano di aver trovato il modo per fare crescere i feti delle pecore al di fuori dell’organismo materno. Hanno inventato una placenta sostitutiva, con un ossigenatore collegato al cordone ombelicale dell’agnello che rimuove anche l’anidride carbonica e poi fornisce sostanze nutritive. Il sangue viene pompato dal battito del cuore del feto, come avviene nel grembo materno. Il punto d’arrivo è l’utero artificiale. Il concetto di incubatrice è quindi superato, perché quello è un sistema per bambini prematuri, mentre in questo caso parliamo di un progetto che punta alla sostituzione della gestazione. Gli scienziati dal canto loro spiegano che questa potrebbe rappresentare una chance per quei feti che non potrebbero sopravvivere dopo 23 settimane. Con questi presupposti, chiaramente nessuno avrebbe nulla da eccepire, il problema è che ci sono scienziati pronti a spingersi oltre.
BIOBAG ED EVE: LIMITI ETICI E RIPERCUSSIONI
Lo stesso Matt Kemp, direttore del laboratorio perinatale della Women & Infants Research Foundation (WIRF) in Australia, spiega che non è un campo nuovo. Col suo team ha infatti realizzato Ex-Vivo Uterine Environment, la cosiddetta terapia EVE. Ci ha lavorato dal 2013 con i ricercatori dell’ospedale dell’Università di Tohoku a Sendai, in Giappone. La differenza tra Eve e la Biobag è nell’età del feto più piccolo: 106 giorni per la seconda, si scende a 95 per la prima, quindi siamo tra le 21 e le 23 settimane in termini umani. Lo stesso scienziato ha ammesso al Guardian le difficoltà nel trasporre questo progetto a livello “umano”. «Chi dice che lo farà tra due anni ha una grande quantità di dati che non sono di dominio pubblico o è un po’ sensazionalista». Ma più che tecnologici, i problemi sono legali ed etici. Si rischia di cambiare il concetto e il significato di maternità, visto che la gravidanza non avverrebbe all’interno del corpo di una donna. Così uomini single, gay o donne trans potrebbero diventare genitori? D’altra parte, sarebbe un’occasione per donne che in caso di gravidanza sarebbero a rischio. Pensiamo a quelle con epilessia o con il cancro, in quanto dovrebbero interrompere le cure, o alle donne a cui è stato rimosso l’utero per ragioni mediche. La questione è a dir poco controversa.