Si sta verificando un aumento di ricoveri ospedalieri di bambini con una età media di sei anni, causato dal Covid. È quanto rivela nel corso di una intervista il responsabile del reparto pediatrico dell’ospedale Bambin Gesù di Roma: “Da febbraio ad agosto un numero di 80 pazienti di questa età, da settembre a oggi invece 108 i casi che hanno richiesto un periodo di degenza ospedaliera”. Non si tratta di casi gravi, si sa che i bambini di quell’età, per quanto colpiti dal virus, non ne soffrono pesanti conseguenze. Elisabetta Mazzucchi, medico pediatra di Milano, che segue con due colleghe circa 3mila bambini, afferma che i casi da lei registrati sono invece pochissimi, quasi nulli: “La problematica che sta emergendo, visto che c’è stata una impennata altissima nelle ultime tre settimane di casi di persone adulte, è più di tipo emozionale, tristezza, paura, ansia”. Per la professoressa Mazzucchi, anche a rischio di eventuale contagi, sarebbe necessario riaprire completamente le scuole: “Bisogna prendersi dei rischi di responsabilità, da decisori: credo fermamente che bambini e ragazzi abbiano bisogno di tornare a scuola”.
Si parla in alcuni casi di un aumento di ricoveri di bambini di età media di 6 anni. Risulta anche a lei?
Siamo tre pediatri che hanno in cura circa 3mila bambini. Da marzo, da quando cioè è scoppiata la pandemia, abbiamo sempre lavorato e sempre seguito i nostri bambini, tenendo aperto l’ambulatorio. Fino a primavera abbiamo avuto pochissimi bambini interessati, da settembre invece dobbiamo far fronte a tanto lavoro. Nelle ultime tre settimane si sono verificati numerosi casi di classi in quarantena e soprattutto di adulti colpiti dal virus.
Che età seguite nel vostro ambulatorio?
Bambini dagli 0 ai 14 anni. A Milano assistiamo a una impennata di casi, ma non riguardano i bambini, che comunque contraggono forme molto lievi. Naturalmente non posso parlare per gli ospedali, ma non mi sembra che ci sia una evidenza come quella detta da lei sul nostro territorio. I bambini si contagiano poco, sono poco infettivi, almeno fino alla scuola elementare; per la scuola media è diverso, ma direi che è una situazione di estrema tranquillità.
Non avete mai dovuto inviare un bambino in ospedale?
In questo ultimo periodo i casi che abbiamo inviato in ospedale per fare una diagnosi non c’entravano con il Covid. Però la situazione nelle famiglie resta difficile: questa settimana ho dovuto sostenere tre famiglie, due papà in rianimazione e un terzo che è deceduto. Una mamma è andata al pronto soccorso di notte perché la bambina di 7 anni respirava male, ma era una crisi di panico.
Ecco, l’aspetto emozionale è molto sentito: paura, rabbia, ansia, confusione. È così?
Sì, questi sintomi colpiscono tantissimo. L’ho riscontrato in modo molto evidente nella prima ondata che a Milano ci ha investito solo tangenzialmente. Però il rinchiudersi in casa, dove ai bambini è stato tolto tutto, ha causato molti problemi. Abbiamo ricevuto tante chiamate, concentrate sulla gestione di problemi di tipo emozionale. Quando c’è stata la riapertura, viceversa, tanti ragazzi delle scuole medie non volevano più uscire di casa. Personalmente spingo molto affinché le scuole rimangano aperte.
Nonostante il rischio di trasmissione del virus?
Sì, è davvero importante che i ragazzi vivano la normalità della scuola.
Ma la scuola è preparata?
Mediamente sì, la scuola è stata invece investita fin troppo dal punto di vista della protezione dal Covid. Troppe responsabilità scaricate sugli insegnanti, che quasi dovevano trasformarsi in medici, un compito che spetta a noi. Loro hanno il compito di educare. Per l’aspetto sanitario ci siamo noi medici. Ho dovuto dire a tante mamme di chiamarci invece di insistere con gli insegnanti per l’aspetto sanitario. Il Covid ci ha fatto capire che da soli non si va da nessuna parte.
L’ultimo decreto governativo autorizza i bambini disabili ad andare a scuola. Qualcuno ha protestato. Lei che ne pensa?
Intanto bisogna vedere quale disabilità, ce ne sono di molti tipi. Ma più uno è in una situazione di fragilità, di disabilità, e più andare a scuola è un bene per lui. O comunque che non gli venga negato per decreto. Nel rapporto che deve esserci fra insegnante, bambino e pediatra, si deciderà qual è la situazione migliore. Quindi sono contenta che ciò sia stato permesso.