Malati in chiesa, una lunga storia

Può la chiesa non prendersi cura dei corpi di chi soffre? Accade a Orbassano, Torino, Latina, oggi, durante il Covid, come accadeva nel '400 a Beaune, in Borgogna

Che si sappia, nel 1400 non c’era il Covid. Però avevano rogne non minori da grattarsi. C’era stata la guerra dei cent’anni, che produsse miseria e malattie a non finire. Nel cuore viti-vinicolo della Borgogna, a Beaune, si può visitare una straordinaria opera di risposta a quel flagello. Non l’unica, ma probabilmente la più straordinaria. Si tratta dell’Hotel-Dieu, sorto proprio alla metà di quel secolo, che ha funzionato sino verso la fine di quello scorso; oggi è museo. Hotel-Dieu vuol dire ospedale, solo che la traduzione, a starci attenti, si nota che salva un po’ la prima parola, hotel, ostello, ospizio che indica ospitalità, e cancella la seconda, Dio.



La cosa che innanzitutto colpisce dell’Hotel-Dieu di Beaune è ciò che sta al cuore del complesso: la grande sala di degenza principale che è al contempo la chiesa. E lo è con piena naturalezza concettuale e architettonica. Stupisce, e non ti solleva obiezioni, ma ammirazione. Guardi. Trenta posti letto, quindici per lato, come una processione su due file sino all’altare, che nel tabernacolo custodiva il Santissimo e che era sovrastato da un grande polittico raffigurante il Giudizio Universale, opera del grande pittore fiammingo Rogier van der Weyden messo lì, come ha scritto lo studioso d’arte e giornalista Giuseppe Frangi, “per essere visibile in ogni istante da ogni malato, suora e infermiere, per essere capito nel suo significato di invito alla salvezza dell’anima, oltre che a quella del corpo. In una unità ideale tra cura del malato, destinazione della vita e senso della morte”.



I letti erano (sono) con baldacchino e tenda di velluto rosso scuro che garantiva la privacy, dotati di lenzuola e strumenti per l’igiene, orinario, stoviglie di metallo, maniglia per tirarsi su, piccola scansia per qualche libro o oggetto personale. Roba da gran ricconi. L’assistenza 24 ore su 24, assicurata dalle suore. Tutt’attorno una cucinona con rubinetti d’acqua calda, camini e girarrosti meccanici a molla, pentolame di qualità; e poi la farmacia, dotatissima; gli altri servizi come lavanderia e laboratori. Sotto il pavimento, acqua corrente a garantire sistemi di smaltimento a impensabili livelli di efficienza e qualità per l’epoca.



E adesso la notizia scoop: tutto ciò era – gratis – per i poveri.

Come fu possibile? Per il genio cristiano-pragmatico del Cancelliere del Ducato, Nicolas Rolin, il quale giunto a una certa età, e d’intesa con la cristianissima terza moglie Guigone de Salins, mise a disposizione le sue ingenti ricchezze. Sia per costruire l’opera, sia per garantire la sua durata nel tempo: rendite e investimenti produttivi (terreni, vigneti, ecc.) per finanziare la grande opera che oggi diremmo non-profit.

L’economista Stefano Zamagni ha spiegato che non si trattò di pauperismo (oggi diremmo, grosso modo, assistenzialismo), ma di generazione di ricchezza per un suo preciso utilizzo per il bene della gente. Questa impostazione favorì nel tempo un gran concorso di popolo nel mettere a disposizione risorse per lo scopo comune (un po’ come fu per la fabbrica del Duomo di Milano).

L’Hotel-Dieu di Beaune ha il carattere di un accadimento inimmaginabile, per tre caratteristiche: gli impensabili standard di cura e di assistenza dei ricoverati; il moderno sistema di autofinanziamento rispondente ai criteri dell’economia francescana; la straordinaria bellezza dell’architettura e degli ambienti, consapevolmente voluta e realizzata. Tutto ciò perché “i poveri sono i poveri di Cristo” e vanno trattati come immagine di Dio. Uno spettacolo eccezionale di “rinascita dell’umano”.

Adesso uno potrebbe anche dire: e allora? Allora pensi all’Hotel-Dieu di Beaune mentre guardi le immagini che hanno mandato in giro della chiesa dell’ospedale San Luigi di Orbassano (Torino), dove sono stati sistemati 74 posti letto per i malati non gravi di Covid, analogamente a quanto accaduto poco tempo fa, e allora passato sottotraccia, all’ospedale Martini di Torino e all’ospedale civile S. Maria Goretti di Latina. Sono immagini di letti di degenza al posto delle panche. Immagini che sono segno. Ma di che cosa?

Per la normale frettolosa percezione, segno dell’emergenza che satura gli ospedali e costringe a reperire spazi anche di fortuna. Per uno sguardo un filo più attento, sono immagini che visualizzano la metafora dell’ospedale da campo con cui papa Francesco definisce la Chiesa che vorrebbe. I letti in chiesa sono un segno – piccolo, modesto, in fondo – della cura amorosa per l’uomo che è connaturata al cristianesimo, che è stata feconda di opere nei secoli e lo è tuttora nelle commoventi testimonianze di dedizione che questi mesi difficili ci hanno regalato.

Il vescovo di Latina ha spiegato la concessione della cappella come attestazione “propria disponibilità, a favore del bene delle persone, con quella stessa sollecitudine che Gesù aveva per i malati che incontrava, così come la stessa Chiesa nel corso dei secoli”. Perché anche l’Hotel-Dieu di Beaune non sarebbe straordinario se non fosse eccezionale ciò che l’ha generato. Beaune è durato più di sei secoli, ed ora è un museo. Ciò che l’ha generato dura da venti secoli e, quello che più conta, non è un museo.

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