Ormai ci conosciamo da qualche annetto, quindi sapete che andare controcorrente non è mai stato un mio problema. Come d’altronde, il risultare impopolare per le mie opinioni. Anzi. Quindi, mi scuserete se infrango la mia promessa relativa al non trattare il tema Italia. Perché non so se ve ne siete accorti, ma siamo in piena campagna elettorale, un assoluto inedito costituzionale. D’altronde, c’è da capire il Governo. La situazione dell’economia reale sta precipitando ed è tenuta insieme solo dalla mossa emergenziale del prolungamento del divieto di licenziamento (ennesimo, pericoloso calcione al barattolo) e i nodi della convivenza forzata in seno alla maggioranza cominciano a diventare inestricabili, quindi meglio forzare la mano fino a quando la Bce ci compra debito. E, soprattutto, fino a quando la barzelletta dell’autarchia finanziaria e delle casse piene ancora regge minimamente.
Da qualche giorno, in contemporanea con l’acuirsi della crisi sanitaria e l’imposizione del regime di nuovo lockdown in alcune aree, palazzo Chigi pare aver imposto un’unica linea di condotta al Mef: pagate tutti. A pioggia. Tipico, appunto, dei periodi pre-elettorali e delle azioni di governo improntate unidirezionalmente alla captatio benevolentiae in stile Achille Lauro. L’ultima mossa, a mio avviso quella che rappresenta la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso per qualsiasi contribuente onesto, è giunta insieme al DL Ristori-bis: gli indennizzi arriveranno anche per le attività che non sono state obbligate alla chiusura dal lockdown, ma che hanno comunque patito un danno economico dalla pandemia. Insomma, socialismo reale.
Spero che sia chiaro a tutti da dove arrivino i denari che il Governo sta per accreditare sui conti correnti con modalità alluvionale e da vera e propria prova generale dell’helicopter money: sono i 10 miliardi di anticipo sui 28 totali contemplati nella quota spettante all’Italia di fondi Sure, ovvero quelli che dovrebbero essere stanziati dall’Ue per il contrasto alla disoccupazione nei Paesi membri più colpiti dal Covid. E attenzione, perché Ursula von der Leyen lo ha detto chiaro e tondo, due settimane fa: si tratta di un trattamento di favore fatto all’Italia, una deroga rispetto alle tempistiche generali giustificata dal precipitare della situazione.
Signori, segnatevi questo particolare: perché nessuno fa niente per niente, non esistono pasti gratis. Se Giuseppe Conte ha chiesto l’accelerazione dell’arrivo di quei fondi, sicuramente ha dovuto offrire o promettere qualcosa in cambio. Soprattutto, alla luce del teatrino patetico messo in piedi da Pedro Sánchez nel corso della conferenza stampa congiunta a palazzo Chigi, quando il Premier spagnolo ha sdegnosamente rifiutato i prestiti non a fondo perduto dell’Europa, facendosi forte degli acquisti di Bonos della Bce. A Berlino certe spacconate le lasciano passare. Ma se le segnano in rosso sul diario, in base alla legge del perdona il tuo nemico ma non scordarti mai il suo nome, tanto cara a quel pacifista di John Fitzgerald Kennedy.
Ora, permettetemi un brevissimo excursus personale nel mio passato. Fra il l’autunno del 2011 e la primavera del 2012, due quotidiani con cui collaboravo hanno chiuso a causa dell’incapacità totale di amministratori e proprietà di mantenere i conti in ordine: Finanza e mercati e Il Riformista, quest’ultimo nella sua ultima, patetica e già comatosa versione quirinalizia. In entrambi i casi, i miei contratti erano di collaborazione continuativa: di fatto, cessione di diritti d’autore senza alcuna tutela. Né ferie, né malattia, né altro. Se scrivevo venivo pagato, altrimenti niente. Come d’altronde, accade anche oggi. Ero, comunque, un dipendente de facto. Nel senso che dipendevo dal fattispecie del poter scrivere, quindi dalla conditio sine qua non che il giornale continuasse a essere pubblicato. Nell’arco di cinque mesi, puff. Dalla prima collaborazione devo ancora ricevere circa 12.500 euro, dalla seconda “solo” 3.000. Non li vedrò mai, lo so già. Anzi, lo sapevo fin dall’inizio, fin da prima che i tribunali interessati dessero il via alla patetica pantomima dei concordati. Prima verranno pagate le banche, poi i fornitori, i distributori, le concessionari di pubblicità e poi a scendere fino verso l’ultimo anello della catena servile dell’umanità editoriale. Ovvero, il sottoscritto e molti disgraziati come lui.
Pensate che lo Stato o qualsivoglia altra istituzione di questo Paese abbia mosso un dito per aiutarmi, all’epoca e anche dopo, anche solo facilitando la certificazione del mio credito a livello bancario per ottenere un prestito? Zero. Mi sono arrangiato. Ho cercato e trovato altre collaborazioni e nel frattempo ho tirato avanti, raschiando il fondo dei risparmi e chiedendo aiuto. Conscio di vivere in un Paese dove queste cose sono all’ordine del giorno, dove i tribunali civili sono le oasi in cui i furbi si rifugiano per farla franca: o lo accetti o te ne vai, l’Italia non è riformabile. E, temo sempre di più, non lo sono nemmeno gli italiani. I quali somigliano molto ai loro governi. E in maniera assolutamente bipartisan.
Forse è per questo che, alla fine, anche i più incendiari fra i politici finiscono per accettare di buon grado una ottimamente remunerata carriera da pompiere ministeriale. Perché i soldi della mie tasse, perché le trattenute dirette sui diritti d’autore dei miei articoli, vincoli che non mi consentono di aderire al club degli evasori e dei contribuenti creativi, devono indiscriminatamente andare a risarcire gente che magari quel risarcimento non lo merita? Lavoratori in nero che non versano e non hanno mai versato un centesimo, imprenditori le cui dichiarazioni dei redditi sono addirittura di carattere dadaista per quanto appaiono funamboliche nell’evitare il dovuto, aziende che erano già con l’acqua alla gola per incapacità di stare sul mercato o indebitamento strutturale che ora verranno paradossalmente salvate “grazie” al Covid attraverso il denaro a pioggia arrivato dalla stramaledetta Europa, da cui qualche genio vorrebbe comunque uscire per tornare alla lira da svalutare.
Perché i miei soldi, intesi come tasse ma anche come fondi cui il mio Paese ha diritto in quanto membro dell’Ue (a fronte di contributi versati per fare parte di quello stesso club con sede a Bruxelles), devono andare a questa gente? Non esiste forse quello che si chiama rischio d’impresa, il quale contempla anche il dover fare i conti con sfighe imponderabili e quasi millenaristiche come il Covid? O siamo piombati del tutto nella versione 2.0 dell’Unione Sovietica? Anzi, nell’Urss in versione Stefano Ricucci. Ovvero, quel particolarissimo e tutto italico regime socio-economico che prevede la collettivizzazione delle perdite dovute al Covid, minacciando rivolte se non arrivano i ristori e la Cig, ma che in tempi di vacche grasse (o magari solo in carne) privatizza gli utili, spesso e volentieri dipingendoli al ribasso, al fine di non dare troppo nell’occhio quando si tratta di resa dei conti con l’imponibile.
Il rischio d’impresa deve valere solo per i liberi professionisti, ancorché a regime di collaborazione coordinata e non a partita Iva, come il sottoscritto? Io non dico che occorra dire alla gente di arrangiarsi, per carità. Anzi. Però nemmeno passare da un regime di promessa perenne, in base al quale sono state erogate solo le prime tre, quattro mensilità di Cig e poi tutti a rintanarsi nella vecchia tana del Bianconiglio conosciuta come babbo morto, a uno invece di denaro a pioggia pressoché per tutti, come annunciato trionfante e fiera dalla vice-ministro all’Economia, Laura Castelli.
Scusate, ma una cosa è il sostegno all’economia in generale e al reddito di chi realmente patisce un danno, un’altra l’assistenzialismo di massa e di stampo elettoralistico. Oltretutto, posto in essere da personalità politiche che, mentre utilizzano i fondi Sure per evitare l’assalto al Palazzo e la propria carriera politica, vanno in televisione a ribadire il loro orgoglioso, autarchico e sovranissimo no al Mes, dimenticando di sottolineare come il rendimento del decennale allo 0,6% – grazie al quale sperano di ingolosire le masse e piazzare il Btp Futura, una bella partita di giro rispetto ai cosiddetti ristori – sia anch’esso unicamente merito dell’Europa.
Signori, parliamoci chiaro. Di colpo, da due settimane a questa parte, telegiornali e talk-show sono tornati a riempirsi di interviste in cui gli interpellati hanno un’unica parola d’ordine: evocare lo spettro della fame, meglio se mettendo in mezzo i figli, visto che i bambini funzionano sempre in chiave di pietismo. Com’è che quest’estate, di colpo, lo spettro della fame era invece sparito dai teleschermi, riempitisi in contemporanea di spiagge affollate, località montane con il tutto esaurito e bimbi ben pasciuti? Volete dirmi che i due mesi scarsi intercorsi fra la fine del primo lockdown e le partenze agostane, a fronte di previsioni apocalittiche rispetto al turismo che sarebbe crollato del tutto come settore, hanno garantito a tutti incassi e mensilità tali da poter scacciare lo spettro del piatto vuoto e potersi addirittura permettere due settimane con la pancia al sole, sdraiati sul lettino? Il tutto con le mensilità della Cig post-aprile non ancora erogate nella gran parte dei casi. O, forse, più di qualcuno faceva il furbo all’ora ed è tornato a farlo ora, con timing perfetto?
Perché se questo atteggiamento appare oltraggioso verso chi – e sono tanti – ha davvero delle difficoltà serie e merita aiuto, ancora peggio è a livello morale l’idea stessa di scomodare la fame per incassare il pasto gratis a cui non avrebbe diritto, la mancetta elettorale, il reddito universale che mi consente di far crescere gli introiti familiari, magari alla luce di uno o più lavori in nero. Com’è possibile che si muoia di fame, se i risparmi in banca in questo Paese sono saliti a un livello di record tale durante la pandemia da essere stati citati recentemente nientemeno che dal Presidente della Repubblica come potenziale appiglio per attivare la nuova ripresa? Tutti miliardari quelli che gonfiano i conti correnti delle banche italiane, forse?
Ne dubito, quella categoria sociale i soldi li investe. Mattone. Oro. Titoli. Attività. O li nasconde in trust e holding, non li lascia lievitare alla luce del fisco. Come spieghiamo la contemporaneità di questo rischio molto mediatico da fame collettiva e bambini denutriti e vestiti di cenci, degno di un Victor Hugo particolarmente ispirato, con i tutto esaurito nelle località di vacanze solo tre mesi fa e con i risparmi che sfondano un record a settimana? Scusate, ma questa logica a me non piace, perché dietro al paravento dell’egualitarismo, del welfare state e del diritto a essere aiutati, temo che si celi in dosi massicce la solita furbizia di massa tutta italica. Da parte del Governo in primis, quanto di una larga fetta della popolazione. E io sono stanco di pagare per altri. O meglio, sono stanco di pagare per chi non ha diritto e con il suo comportamento non fa che perpetuare uno status quo che ci ha portato alla situazione attuale.