Se la scuola non è semplicemente “fare lezione”, il problema vero della didattica a distanza (Dad) non è quello della riduzione del programma agli essenziali, o dell’efficacia della lezione frontale quando tanto frontale non può essere; diventa piuttosto il problema di ogni relazione educativa: come mantenerla aperta e viva con strumenti che, giocoforza, non consentono la relazione diretta, ma solamente quella mediata. Il problema diventa: come “accorciare le distanze” mantenendo il distanziamento? Come tenere viva la fondamentale relazione tra docente e discente? Come non perdere i ragazzi dietro delle telecamere spente?
La questione contiene qualche aspetto paradossale: i nostri ragazzi vivono attaccati ai loro dispositivi, spesso. Sono il loro prolungamento virtuale, la loro finestra sul mondo, il loro strumento comunicativo privilegiato. Possibile che, quando la scuola si affaccia a questi strumenti, per via della terribile necessità contestuale, l’emergenza Covid, essi invece si neghino?
Possibilissimo. Lo abbiamo visto succedere. Nell’improvviso lockdown dello scorso febbraio. Ragazzi che si chiudevano in se stessi, straniti, colpiti, vinti da una situazione mai vissuta prima, da nessuno. Hikikomori per forza.
Quanto sono difficili, per un sedicenne, questi tempi di relazioni negate…
Ce ne siamo resi conto da subito. E quindi, quando è stato possibile “uscire a riveder le stelle”, dopo “la notte passata con tanta pieta”, abbiamo subito cercato di ripartire con il piede giusto. Non solo con le regole di prevenzione di cui ci siamo dotati, ma con lo spirito necessario per questi tempi terribili. Ci è sembrato importante fare di necessità virtù. Cogliere il fecondo del tempo di crisi. Ripensare noi stessi, io preside e i miei docenti, al senso di quello che facciamo ogni giorno. E ci è sembrato che tre punti emergessero come fondamentali. I tre cardini su cui costruire la nostra scuola significativa anche in tempi come questi, in cui trovare un senso appare così difficile.
Una questione di sopravvivenza
Per prima cosa, ci è sembrato importante far capire ai nostri alunni qualcosa che può risultare difficile comprendere affidandosi ai telegiornali di questi giorni. La scuola non è un optional nelle nostre esistenze. Non è qualcosa che può esserci o non esserci. La scuola è una questione di sopravvivenza. Lo abbiamo detto in questo modo nel nostro Open Day, che siamo riusciti a svolgere in presenza, grazie a un’organizzazione per appuntamenti:
Preistoria. L’alba dell’umanità. Il primo uomo vaga in cerca di sicurezza. Percorre grandi spazi desolati. Per dare un’immagine, è come l’inizio di 2001 Odissea nello spazio. Ormai stremato, intimorito dal sentirsi esposto, in uno spazio aperto, possibile obiettivo di grandi predatori, finalmente l’uomo scorge una caverna. È la salvezza! È rifugio, è protezione, è nascondiglio. Entra.
Ora, per lui a questo punto è troppo tardi. Ma noi abbiamo ancora la possibilità di scegliere se essere quell’uomo primitivo, oppure l’orso che abitava la caverna prima di lui…
Il secondo uomo primitivo impara la lezione. Quando vede una grotta, entra con una torcia.
Imparare significa fare previsioni per la sopravvivenza. Conoscere in maniera totale la realtà che ci circonda e usare la propria conoscenza per sopravvivere.
La previsione dello scienziato si chiama “formulare ipotesi”; quella del filosofo si chiama “inferenza”; quella del matematico è una previsione che deriva da determinate premesse, e si chiama “deduzione”.
Imparare è imparare a prevedere, e c’è in gioco la sopravvivenza.
Ecco perché siamo qui oggi. Ecco perché tra fare e non fare l’Open Day abbiamo preferito farlo. Ecco perché tra la didattica a distanza e la didattica in presenza preferiamo sempre la didattica in presenza. Ecco perché siamo orgogliosi di ciò che facciamo: perché sappiamo che è importante, anzi: è fondamentale. L’unica scuola che meriti di essere chiusa, è quella che insegna cose inutili.
Abbiamo cercato di far capire ai nostri ragazzi che quello che si fa a scuola è importante, fondamentale: c’entra con la vita. Può sembrare banale. Ma in un’epoca in cui a dirci di usare le mascherine non è Madame Curie, ma Chiara Ferragni, forse non è poi così banale dirlo, ribadirlo, urlarlo.
Una questione di passione
La prima cosa era tornare a una scuola che insegnasse cose importanti, che sapesse far vedere il legame tra queste cose e la vita. La seconda, era insegnarle con passione. Guai a chi annoia un alunno… Con i miei docenti abbiamo riflettuto soprattutto su questo punto: la difficoltà della comunicazione a distanza, della lezione digitale, e la necessità di tenere sempre viva l’attenzione. Ci siamo dunque resi conto che educare è comunicare se stessi. E dobbiamo comunicare noi stessi anche quando insegniamo. Comunichiamo noi stessi perché è l’unica cosa che conosciamo veramente. Comunichiamo noi stessi perché la disciplina che insegniamo ha detto qualcosa alla nostra persona, alla nostra vita, spesso determinandone la direzione. Il senso. Forse si può diventare insegnanti “per caso”; ma non si resta insegnanti per caso. Questa professione va abbracciata, va “indossata”, va interpretata come la realizzazione di una passione. In-segnare significa lasciare un segno dentro. Ma possiamo lasciare un segno dentro solamente se mostriamo ai nostri alunni i segni che qualcun altro ha lasciato dentro di noi; solo se mostriamo la passione che ha fatto sì che realizzassimo la nostra vita come è. Ogni lezione, ogni sacrosanta lezione, non deve ripetere una serie di contenuti detti e ridetti, stantii, ma deve comunicare il miracolo segreto che ci ha fatto diventare ciò che siamo: non “bravi”, non “cattivi”, ma “uomini”. In ogni lezione, e tanto più in quelle a distanza, si deve dare tutto.
Una questione di presenza
Eppure, anche così, anche con gli alunni costretti in casa, e naturalmente proprio perché costretti in casa…, qualcuno di loro vive la tentazione dell’abisso. Contemplare il vuoto, rinunciare a dare un senso quando “dare senso” diventa così difficile. Il disorientamento è facile. Anche Dante si è perso in una selva oscura.
La domanda che i nostri alunni ci rivolgono non è solamente una domanda di “istruzione”. Spesso è una domanda di senso. Radicale, profonda, ineludibile.
Di fronte a ciò, come docenti della nostra scuola, abbiamo scelto di esserci. Semplicemente, di essere presenti. La scuola è occasione di apprendimento nei suoi tempi e nei suoi spazi “formali”, legati alle ore di lezione, alle aule, alle materie… Ma si apprende anche fuori da scuola, si apprende anche nei contesti informali, si apprende “sempre”. A questo proposito gli studiosi parlano di “workflow learning”, apprendimento a flusso.
Ora, se si apprende anche “finita la lezione”, abbiamo ritenuto fosse compito degli insegnanti esserci anche dopo la lezione, “oltre” la lezione. Non si trattava, ovviamente, di irrompere nei loro territori e violare l’autonomia che si stanno costruendo. Si trattava di prolungare il tempo scolastico, approfittare dello straordinario strumento di comunicazione che sono i social media per uno scopo che fosse in qualche modo educativo, per una volta, e non diseducativo. Si trattava di far comprendere ai ragazzi che il dialogo, la relazione iniziata a scuola, non si sarebbe chiusa con la scuola a distanza: mail, chat della piattaforma didattica in uso, sito di riferimento, registrazione delle lezioni per il riascolto e a favore di chi era assente, podcasting, e quando fosse necessario anche una semplice telefonata… Una moltiplicazione di strumenti che abbiamo utilizzato e ancora stiamo utilizzando. Il nostro non arrenderci al vuoto. La nostra continua ricerca di senso. E il desiderio profondo di trasmettere ai nostri ragazzi tutto questo.
Ecco perché a settembre i nostri ragazzi erano contenti di riprendere. Ecco perché l’ultima chiusura della scuola a livello di regione Lombardia li ha rattristati, certamente, ma li ha anche trovati pronti. Pronti a dare la risposta che i tempi richiedono. Pronti a continuare in un modo diverso ma non per questo non significativo. E pronti a tornare a scuola, naturalmente, non appena sarà possibile: puri, e disposti a salire alle stelle.
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I Licei Regina Mundi si trovano in via Boncompagni 18 a Milano, zona MM3 Corvetto, e offrono:
un Liceo Linguistico di pluriennale esperienza, caratterizzato dai fitti scambi con l’estero e dalla curvatura sulle Relazioni internazionali, nonché dal metodo del trimestre intensivo per l’apprendimento delle lingue;
un Liceo Scientifico, caratterizzato da tradizione, innovazione e sostenibilità: tradizione, perché è un liceo tradizionale, che non esclude il latino; innovazione, perché introduce una seconda lingua straniera, lo spagnolo, e approfondimenti di coding e robotica; sostenibilità, in chiave ambientale, economica, sociale, intesa come modello ideale da perseguire nello studio di ogni disciplina, e non solo di quelle scientifiche, per costruire un mondo che possa idealmente soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza esaurire le risorse per quelle future.
I futuri Open Day sono programmati per il 21 novembre e per il 16 gennaio. Consultare il sito per assicurarsi della modalità di svolgimento (in presenza o a distanza).