Ieri mattina l’ennesima tragedia nel Canale di Sicilia non era su tutte le prime pagine e non occupava grandi spazi neppure su quelle interne. È sempre un brutto segno quando i media sono lo specchio di una politica confusa e distopica. Campagne di mesi contro la “cultura dell’odio”, giorni di titoloni sulla cancellazione dei decreti Salvini e poi solo registrazioni frettolose quando un neonato in carne ed ossa muore annegato. Che succede agli italiani, al loro premier, al loro ministro dell’Interno, ai loro partiti, ai loro tg, quotidiani, social eccetera?
Certo, non è facile informare e informarsi sui barconi quando si ha una moglie o un padre ricoverati per Covid; o un ragazzino che continua ad andare a scuola “in presenza” sfidando il virus oppure in Dad a casa in quarantena perché il compagno di banco è risultato positivo. Non è facile scrollare lo smartphone con calma e attenzione quando si è in auto in coda per un tampone. Non è facile selezionare le notizie e sollecitare commenti quando anche le redazioni lavorano in smart working. Non è facile preoccuparsi dei migranti africani se ci si guadagna da vivere con un bar nuovamente in lockdown; se si è a casa in Cig, che magari arriva con mesi di ritardo. Non è facile neppure per un sindaco, un assessore regionale, un ministro. Non è facile per nessuno restare attenti ai barconi.
Ci sono però sui media anche notizie – o “vuoti di notizia” – meno comprensibili, meno meritevoli di comprensione. Perché, ad esempio, al vertice europeo di martedì scorso sul ritorno del terrorismo islamico nel Vecchio continente l’Italia era assente? E perché i media nazionali hanno semi-ignorato la cosa?
Il presidente francese Emmanuel Macron ha invitato a Parigi il cancelliere austriaco Sebastian Kurz e si è collegato con la cancelliera tedesca Angela Merkel (presidente di turno dell’Unione) e con il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Giuseppe Conte – capo di un governo italiano nato nel nome di “Orsola” – non c’era: e la comunicazione di Palazzo Chigi non ha chiarito le ragioni. Il premier italiano non è stato invitato oppure ha declinato l’invito?
Quel che è certo è che Macron ha posto con forza sul tavolo europeo la revisione dei trattati di Schengen dopo gli attentati mortali di Parigi, Nizza e Vienna. Nei fatti ha voluto addossare la recrudescenza del terrorismo islamico alle falle nelle frontiere esterne della Ue, anzi nella frontiera marittima italiana. L’assassino della cattedrale di Nizza era in effetti sbarcato pochi giorni prima a Lampedusa, riaperta ai flussi migratori dall’Africa del Nord, sempre più permeata dal radicalismo islamico. Di qui un’ipotesi di lavoro solo apparentemente tecnocratica: sigillare formalmente le frontiere fra Italia e Ue (Francia, Austria e Slovenia), escludendo unilateralmente da Schengen un paese fondatore della Ue. Un’Italia che – è vero – oggi è sostanzialmente non allineata con l’Europa nelle politiche verso le grandi migrazioni.
La voglia italiana di perseguire una propria “via all’accoglienza” continua a non essere priva di ambiguità: il ritardo con cui i “decreti Salvini” sono stati modificati (ma di fatto non aboliti) ne è prova inequivocabile. Ma non meno ambivalente è stato l’atteggiamento della Ue e dei suoi grandi Paesi membri: dapprima durissimo contro la politica italiana dei porti chiusi firmata nel Conte 1 dal vicepremier Matteo Salvini (poi espulso dalla maggioranza di governo anche per le forti pressioni europee); vagamente disponibile poi, l’Europa, ad aiutare la riapertura dei porti adottata in via semiclandestina da Luciana Lamorgese, ministro dell’Interno del Conte 2; infine però solidale, Bruxelles, già in epoca Covid, con la Grecia “resistente” alle pressioni migratorie scatenate dalla Turchia neo-islamica. Von der Leyen e il presidente dell’europarlamento David Sassoli sono volati appositamente ad Atene per confermare la politica greca delle “frontiere esterne Ue” chiuse in Tracia e a Lesbo. Ora Macron – che accusava l’Italia “vomitevole” che non voleva accogliere – accusa con la stessa violenza l’Italia che ha lasciato passare come profugo un tagliagole islamico pronto a colpire a Nizza.
Al netto di una politica di redistribuzione dei migranti mai veramente applicata, quale sia la linea di fondo di Bruxelles sulle migrazioni resta perfettamente riassunta nella delega formale assegnata da von der Leyen al commissario greco Margaritis Schoinas: non all’ “accoglienza dei migranti” ma alla “promozione dello stile di vita europeo”. Quindi: “non può esserci accoglienza senza integrazione e non può esserci integrazione se non attraverso una politica attiva del multiculturalismo multietnico, che non abbia esitazioni o cedimenti sull’identità europea”. La versione-realpolitik è stata – cinque anni fa – l’accoglienza in blocco (e gestita da piani precisi) di un milione di profughi siriani da parte della Germania: indispensabili all’Azienda-Germania, anche al costo di qualche fiammata populista e xenofoba nell’elettorato dei Länder orientali.
È proprio in virtù della complessità e crucialità del dossier migratorio “italiano e per questo europeo” che Conte non avrebbe dovuto assolutamente disertare il vertice di Parigi. Se invitato avrebbe dovuto aderire; se non invitato avrebbe dovuto pretendere di esserci: chi avrebbe potuto dire di no a Roma?
Avrebbe potuto e dovuto, Conte, richiamare l’Europa alle sue responsabilità, chiaramente definite dagli Accordi di Dublino, firmati nel 2013 per l’Italia da Enrico Letta ed Emma Bonino. Se, d’altronde, la combinata emergenza di Covid, migrazioni e terrorismo islamico impone una riflessione su Dublino e Schengen – del livello di quella fatta su bilancio Ue e Recovery Fund – a maggior ragione il summit dell’Eliseo si presentava come un’occasione preziosa. Quale momento più adatto per un confronto politico autentico, al massimo livello, su una nuova coniugazione europea di esigenze di sicurezza con propositi di solidarietà, di compatibilità economico-finanziarie e approcci geopolitici? Anche al tavolo finale del Recovery Fund: una sorta di masterplan complessivo della Ue nel terzo (incerto) decennio del ventunesimo secolo.
Se Conte si fosse collegato con Parigi per difendere le legittime scelte italiane e scuotere l’Europa sulle sue scelte mutevoli e opportunistiche, allora sì che avrebbe potuto commentare in tempo reale l’ennesima tragedia dei barconi. E i titoli sulle prime pagine sarebbero stati di più e più visibili. Non lo ha fatto e non è accaduto: perché?
P.S. Nel “non detto” di un vertice Ue ad excludendum verso l’Italia su migranti e terrorismo si scorge una distinta questione, che un post giornalistico non può ignorare. Per quanto possa sorprendere, la tragedia della cattedrale di Nizza ha generato tensioni fra la Francia e il mondo cattolico: fra l’amministrazione Macron, i vescovi transalpini e la Santa Sede. Già pochi giorni prima, il brutale assassinio dell’insegnante Samuel Paty aveva riaperto in Francia una querelle profonda nella storia e nell’odierna civilisation del Paese.
Da un lato, è prepotentemente risorto il postulato della laicità nell’odierna Francia républicaine: subito imbracciato da Macron a difesa della “libertà di blasfemia” di Charlie Hebdo – e dell’insegnante pubblico Paty – verso Maometto. Sull’altro lato, i vescovi francesi per primi, dopo Nizza, hanno contestato questa linea. “Je ne sui pas Charlie“, ha dichiarato il vescovo di Nizza, André Marceau, pur dopo tre morti violente nella sua cattedrale. “Non si prendono in giro le religioni”, gli ha fatto eco l’arcivescovo di Tolosa, Robert Le Gall. Né si può dimenticare che fra le voci più critiche contro la reazione laicista dell’Eliseo vi sia stata quella di Ahmad al-Tayyeb: co-firmatario con Papa Francesco, un anno fa, della Dichiarazione di Abu Dhabi sulla Fratellanza umana, nonché nome-fonte più citato nella recente enciclica Fratelli tutti.
Ma c’è dell’altro, nel triangolo fra Macron, episcopato francese e Santa Sede: quest’ultima, la voce più autorevole e convinta a favore della libertà di migrazione e del dovere di accoglienza, e nel contempo voce sempre più pensosa sull’Europa tecnocratica. Negli ultimissimi giorni i vescovi francesi hanno presentato un ricorso al Consiglio di Stato contro le restrizioni-Covid imposte dal governo anche alle celebrazioni liturgiche. Il ricorso è stato respinto senza esitazioni, acuendo le tensioni fra Stato e mondo cattolico.
Questi sono i fatti. Non è un fatto, ma una narrazione politico-mediatica consolidata che il governo Conte 2 (nato con la priorità ufficiale di rovesciare la politica dei “porti chiusi”) goda del favore della Santa Sede. È invece una semplice congettura giornalistica che Conte si sia visto obbligato a disertare il vertice dell’Eliseo per non ritrovarsi al centro di un’escalation fra Francia e Vaticano.