“Natale non è solo festa e regali, ma anche un momento di raccoglimento spirituale, e farlo con tantissime persone non viene troppo bene”. Queste le parole di Giuseppe Conte. Potrebbe essere un pensierino di un bimbo delle elementari, e la maestra gli darebbe benino, un sei in terza elementare, almeno ai miei tempi non di più, con un commento tipo: più concreto, spiega secondo te quando si è in troppi, fa’ degli esempi la prossima volta. Se fosse la sintesi di un tema di prima media il giudizio sarebbe: concetti banali, sforzati di riflettere di più.
Il problema è che Giuseppe Conte non è il Peppino seduto al banco davanti a nostro nipote, ma ha espresso queste idee in quanto premier. E – lo dico francamente – in un momento così drammatico, cercare di consolare con caramelle colorate gente che soffre, con annesso il consiglio della sera, mette una tristezza infinita. Non perché abbia detto per forza qualcosa di sbagliato, un’opinione vale l’altra, ma perché altro è desiderabile da un presidente del Consiglio. Sia diretto, sia franco, non costruisca una predica su misura per abbellire decisioni che non sono state ancora comunicate agli italiani.
Infatti Conte qui invece di fare politica, di spiegare con serietà le ragioni di sacrifici inusitati, pretende di imporre una teologia di Stato da quattro soldi. Egli invia, senza che ci sia l’ombra di alcun Dpcm che oggi imponga qualche restrizione per dicembre, un messaggio per il Natale sostituendosi al Papa in una sorta di delirio teocratico, profetizzando implicitamente numeri infausti e conseguenti penitenze che praticate in solitudine convinceranno il virus a usarci misericordia. Come ha detto con superficialità il sottosegretario alla Salute (sic) Sandra Zampa, il Natale dovrà vedere raccolti insieme soltanto parenti di primo grado. Cioè coniugi e un figlio. Perché i figli tra loro (fratello e sorella sono di 2° grado). Nessuna nonna. Invece di fare prediche, e pretendere meditazioni solitarie dagli italiani, perché in tanti non vengono bene, si dica semplicemente la verità sull’esigenza di prudenza, sulla necessità di preservare da contatti a rischio anziani e fasce deboli, ma non si proponga una pratica di ascetica leggera, una regola per certosini o per stiliti del deserto.
Luigi Einaudi propose un libro con i suoi articoli e discorsi intitolato Prediche inutili, ma ironizzava. Qui siamo ai pistolotti di Laqualunque.
Non può funzionare un governo paternalista di questo tipo. A Cesare non tocca rompere le scatole al nostro rapporto con Dio.