Tenere i soldi fermi per paura del futuro mette a rischio il futuro. È questo, in sintesi, il richiamo principale emerso dalla Giornata del Risparmio 2020, la prima dopo 95 edizioni a fare i conti con una crisi economico-sanitaria senza precedenti, che ha portato gli italiani ad accantonare di più, bloccare i consumi e gli investimenti. Di qui, l’invito per cercare di indirizzare il risparmio degli italiani verso l’economia reale, verso la ripartenza del Paese.
Questo perché gli eventi del 2020 stanno premiando l’orizzonte di breve periodo nella gestione del risparmio. Il perdurare della crisi Covid e questa seconda ondata presentano un rischio concreto di innescare nei prossimi mesi un “circolo vizioso” fra meno consumi, aumento del risparmio, “caduta della domanda aggregata e dei redditi, frenando la ripresa”, ha ammonito il Governatore di Bankitalia Visco. “In una fase come quella attuale dominata dall’incertezza e dalla debolezza della congiuntura, l’aumento della propensione al risparmio, se non si accompagna a un’adeguata ripresa degli investimenti e dell’attività produttiva può causare una diminuzione della domanda aggregata e dei redditi, alimentando, a sua volta, una ulteriore crescita delle intenzioni di risparmio per motivi precauzionali e innescando, così, un circolo vizioso”.
Tutto questo quando proprio il risparmio può diventare il vaccino economico anti-Covid dell’Italia. “Serve incanalare il risparmio verso l’economia reale”, è il punto di vista del ministro dell’Economia Gualtieri. Anche la ricerca annuale Acri-Ipsos evidenzia come una componente importante del risparmio “non si traduce in investimenti all’economia reale del Paese” ed emergono “segnali di risparmio precauzionale dovuti alla crisi”.
E così di fronte allo sviluppo della pandemia e la crescente incertezza dello scenario economico e sociale che si lega inevitabilmente a quello socio-sanitario, con i depositi bancari a 1.682 miliardi (valore al 30/09/2020), il boom dei fondi di liquidità, questo dato non solo statistico e la sua evoluzione quantitativa diventano meritevoli di approfondimento. Una massa enorme di denaro che non entra nel circolo virtuoso della crescita. Parliamo di un asset finanziario il più delle volte privo di remunerazione, se non simbolica, al lordo dei costi di gestione, proporzionali o forfettari, ma paradossalmente da tempo presente con uno scenario definito dalla riduzione e dall’appiattimento dei tassi d’interesse.
Le analisi statistiche inseriscono i depositi bancari nei dati inerenti la classificazione delle attività finanziarie delle famiglie come forma di investimento del risparmio. Depositi bancari che negli ultimi decenni sono aumentati dalla domiciliazione di stipendi, salari e remunerazioni professionali al netto di spese in consumi e ne hanno movimentato il saldo, ma non corrispondono in assoluto come forma di risparmio finanziario consolidato, né nel suo saldo assoluto o medio. Il fenomeno crescente del volume dei depositi è anche legato alla ridotta movimentazione dei conti correnti negli ultimi mesi, per le condizioni di instabilità e incertezza sul futuro che hanno portato a tener ferme quote di reddito sempre maggiori a causa dell’attuale situazione. Una soluzione semplice, istintiva, un tipico esempio di comportamenti individuali, fuori dalla logica di una vera e propria “pianificazione finanziaria”. Di fronte a una visione del futuro incerto, i depositi si auto-alimentano e quote sempre in aumento vengono trattenute a scopo di protezione.
Molti soggetti dovranno esercitarsi nel difficile compito della pianificazione finanziaria, fondamento di una buona educazione finanziaria, materia certamente debole per molti. Una pianificazione che, secondo il rapporto Consob del 2019 sulle scelte di investimento delle famiglie italiane, al momento riguarda solo il 30% dei soggetti. La ricerca Assogestioni-Censis presentata a luglio ci dice che i margini di miglioramento sono ampi e ci confermano come l’attitudine al risparmio sia un patrimonio consolidato delle famiglie e necessario valorizzare.
Ottobre è stato il mese dedicato da tutte le istituzioni all’educazione finanziaria ma il timing prescelto è stato condizionato dalla situazione sanitaria, attenuandone di molto l’efficacia. L’educazione finanziaria interessa alle persone, ma va fatta nel modo giusto, c’è un grande bisogno di competenze e comportamenti che prima non erano percepiti come necessari. L’educazione finanziaria va messa al centro dell’agenda per la crescita e la ripresa del Paese.
Nel periodo del primo lockdown e nel primo semestre 2020 il calo dei consumi è stato più forte della riduzione di reddito disponibile, portando a un aumento della propensione al risparmio, arrivata nel nostro Paese al 18,6% su base Istat. Ed è cresciuta la divaricazione fra coloro che hanno continuato a percepire redditi medio-alti e risparmiare e quanti avevano già redditi bassi e hanno subito ulteriori perdite. La ricchezza finanziaria totale concentrata nelle mani dei primi non ha risentito dell’impoverimento dei secondi. La caduta della domanda ha indotto il crollo degli investimenti da parte delle imprese private che hanno accantonato risorse finanziarie.
In questo travagliato 2020 emerge come l’aumentata ricchezza sia stata utilizzata in investimenti finanziari. I fondi comuni (fonte Assogestioni) nei primi otto mesi hanno raccolto 8,6 miliardi, la raccolta netta su strumenti finanziari, assicurativi e previdenziali intermediati da banche e sim ha superato i 21 miliardi di euro rispetto ai 13,4 dello stesso periodo nello scorso anno (fonte Assoreti).
Intanto il Pil italiano negli ultimi 15 anni è variato fra 1600 e 1800 miliardi di euro (con diverse oscillazioni in crescita e in diminuzione). A oggi le ipotesi di ripresa del Pil risultano compromesse dalla nuova situazione, ogni mese produce circa l’8,5% del Pil annuo, base sul quale calcolare l’impatto negativo nelle chiusure delle attività. Su base tendenziale (terzo trimestre 2020 su terzo trimestre 2019) la variazione è negativa (-4,7 punti percentuali), poiché nel primo semestre il crollo cumulato è stato superiore al 18% (secondo trimestre -12,4%).
L’andamento negativo previsto nel quarto trimestre avrebbe effetti negativi minori sul 2020, sostenuto dalla ripresa potente del terzo trimestre, ma pesanti sul 2021 che, secondo le stime di importanti centri di ricerca e di previsione, potrebbero rallentare la crescita dal +6% della Nota di aggiornamento al Def sino alla metà o a un terzo. I tempi del recupero, di conseguenza, si allungherebbero e il ritorno ai livelli pre-crisi non si raggiungerebbe nel 2021, ma nel 2022.
Anche l’Eurozona (+12,7%) e l’Ue (+12,1%) nel terzo trimestre hanno realizzato una forte ripresa sotto la spinta di poderosi interventi fiscali nazionali, della politica monetaria espansiva della Bce e delle risorse europee, dopo il crollo del secondo trimestre. Sul quarto trimestre pesano pesanti incognite: tempi del vaccino; caduta della fiducia di imprese e famiglie, con effetti sui risparmi (in aumento) e investimenti (in diminuzione); timori di insolvenze su larga scala, chiusura di imprese e attività economiche con perdita di posti di lavoro e crescita della disoccupazione.
La Bce stima il Pil dell’Eurozona in caduta nel 2020 del 7,8%, nel 2021 in crescita del 5,3% e nel 2022 del 2,6% ed è pronta a prolungare nel 2021 la politica monetaria di sostegno alla ripresa, a potenziare il Qe, a migliorare le condizioni delle Tltro (Targeted Longer Term Refinancing Operations), operazioni con cui l’Eurotower distribuisce fondi alle banche con l’obiettivo di immettere nel sistema del denaro, tramite i canali bancari, destinato all’aiuto dell’economia reale.
I numeri del Pil e dei depositi sono ormai quasi coincidenti e i secondi supereranno i primi a breve a causa del calo di questi. Cinque anni fa il Pil era il doppio dei depositi: una “disruption” nell’assetto di un sistema economico. Gli effetti della pandemia sono anche questi.