Al netto del profitto garantito all’amministratore delegato di Pfizer dalla vendita del 62% del suo pacchetto azionario il giorno seguente al rialzo record in Borsa (la cui gravità è tutta insita nel regolamento Sec che impone ai manager Usa la comunicazione preventiva di ammontare e data di vendita, risalente in questo caso al mese di agosto, quindi con profili operativi che variano dalle sfumature di preveggenza a quelle di premeditazione dolosa), l’annuncio dell’efficacia al 90% del vaccino anti-Covid in fase sperimentale ha garantito altro. Decisamente più importante e strutturale di una mera monetizzazione diretta, per quanto lauta. Ce lo mostrano immediatamente questi due grafici, i quali rappresentano di fatto le due faccia prospettiche di una stessa medaglia di manipolazione del mercato.
La settimana scorsa, infatti, il game changer messo in campo da Pfizer si è sostanziato nel maggiore afflusso di capitali nel mercato azionario a livello settimanale di sempre, oltre 44 miliardi di dollari. Insomma, la big rotation già innescata dalla vittoria di Joe Biden ha subito un’accelerazione ulteriore e senza precedenti.
Tutti pazzi per la Borsa. Anzi, non proprio tutti. Perché il secondo grafico mostra come la fuga a gambe levate della smart money stia continuando e abbia toccato ormai un controvalore di outflows da record. Insomma, gli investitori professionisti non paiono interessati all’ennesimo rally del secolo. Come mai, crisi di coscienza dopo anni di speculazione? In alcuni casi, magari questa può essere la spiegazione. Ma a livello generale, la ragione potrebbe essere un’altra. E potrebbe trovare una conferma al limite del distopico in questi altri due grafici. Cosa ci dicono? Il primo mostra come il comparto tech, rappresentato dai cinque titoli a maggiore capitalizzazione del settore racchiusi in quell’acronimo che è la versione aggiornata del mitico Fang, abbia patito un primo, serio ridimensionamento del proprio peso generale all’interno dell’indice Standard&Poor’s 500, essendo sceso dal 25% pre-elettorale al 22% di fine settimana scorsa. Eppure, nessuno si è accorto di nulla.
Per forza, il driver dell’annuncio Pfizer ha mandato letteralmente in orbita sia lo Standard&Poor’s 500 che il Dow Jones e, così facendo, ha oscurato i due giorni di calo consecutivi del Nasdaq. I quali avrebbero dovuto rappresentare per tutti il classico canarino nella miniera, stante il clima di euforia generale da acquisti. E invece quel proxy pare essere stato preso in considerazione solo e soltanto dalla smart money, la quale ha tratto ennesima conferma della propria intuizione relativa all’atteggiamento da tenere: immobilismo. E attesa.
Di cosa? Ce lo mostra il secondo grafico. Dal quale si evince plasticamente come da inizio anno il basket dei titoli più trattati dagli hedge funds abbia garantito returns minimi, addirittura al limite del verde, rispetto al +10% dello Standard&Poor’s 500. Chi invece ha potuto mettere a segno un +55% con il paniere dei suoi 50 titoli più trattati? I daily traders! Ovvero, gli investitori non professionisti che operano su piattaforma di trading on-line come Robinhood. I nuovi Gordon Gekko, di fatto, sono in out-performance sui presunti guru di Wall Street in un rapporto di 10 a 1.
Credibile? No. Ma strumentale. A cosa? Alla creazione del prossima catalizzatore di crisi. Perché per quanto pervasivo, il Covid non può durare in eterno. E il ragionamento di base appare tanto semplice quanto faustiano. A fronte di risultati come quelli garantiti finora dalla loro operatività di trading on-line, spesso e volentieri finanziata dal sussidio federale di 700 dollari la settimana e in grado di decuplicare il reddito mensile medio pre-pandemia, pensate che il gregge degli investitori da divano si accontenterà e chiuderà proprio ora il conto titoli, accontentandosi e tornando alla sua vita precedente di impiegato, studente, casalinga o postino? Pensate che la tanto strombazzata big rotation di cui tutti i media, più o meno mainstream, stanno blaterando da quando Pfizer ha annunciato la lieta novella, di fatto innescandola, non si tramuterà in una tentazione troppo forte a cui resistere? E quindi, partendo dal presupposto che se esiste un candidato al ruolo di vittima sacrificale del riposizionamento di portfolios questo è rappresentato proprio dalla bolla tech, non fosse altro per i livelli siderali che ancora sta scontando a livello di valutazioni, chi ne pagherà il prezzo? Chi resterà con un’intera confezione di cerini consumati in mano e le dite ustionate?
Di certo, c’è che la smart money si è chiamata fuori dalla contesa già da tempo. E gli hedge funds, per quanto formalmente ritenuti ormai dei dinosauri del trading, certamente hanno più dimestichezza e rapidità di riposizionamento short di un qualsiasi trader di Robinhood, se la tensione salirà a tal punto da innescare una corsa all’hedging, sia esso con vendite allo scoperto o tramite credit default swaps. E perché serve un catalizzatore di crisi? Ce lo mostrano questi ultimi due grafici, dai quali si evince il nodo della questione: il deficit insostenibile venutosi a creare in questi anni va in qualche modo finanziato, pena lo schianto. E perpetuato. E al netto di emissioni record da parte del Tesoro Usa a tal fine già programmate per tutto il 2021, serve qualcuno che monetizzi quella carta: come mostra la tabella, compilata da Bank of America, già oggi l’offerta di Treasuries attesa per il prossimo anno è doppia rispetto al controvalore di acquisti della Fed in seno al livello attuale di Qe4 per ammontare trimestrale.
Insomma, al fine di mantenere in movimento la grande giostra del deficit e in contemporanea evitare il collasso del sistema finanziario, occorre che Jerome Powell trovi un alibi che gli garantisca la possibilità di raddoppiare i controvalori di acquisto. Tradotto, una nuova crisi. Appunto. Perché se la logica è quella di una sorta di helicopter money post-pandemia, un viatico trionfale per il primo mandato di Joe Biden, la Federal Reserve deve monetizzare virtualmente ogni dollaro di emissione netta. E capite da soli che per raggiungere uno scopo simile, ovvero più che raddoppiare i valori attuali di intervento monetario, occorre una crisi con la C maiuscola, certamente non basta una correzione dei corsi come quella dello scorso marzo o dei primi di settembre. Ad esempio, appunto, quella che potrebbe essere innescata dalla big rotation che sgonfi la bolla tecnologica, giunta ormai a livelli insostenibili e ben superiori a quelli della crisi dot.com del 2000. La cui sovra-valutazione, ovviamente, verrà poi imputata alle sciagurate politiche fiscali dell’era Trump, foriere di buybacks strutturali con i fondi off-shore rimaptriati dalle multinazionali a costo zero e poi riversati su Wall Street in una partita di giro con il potere politico.
Una bella agenda virtualmente di sinistra, a cui la Fed si accoderà, visto che nel fine settimana Jerome Powell ha dichiarato che l’istituzione di cui è alla guida avrà un ruolo tutt’altro che marginale da giocare nella lotta contro i cambiamenti climatici. Di fatto, è in preparazione il Qe perenne ma verniciato di verde. Un capolavoro. E sta per andare in scena. Quindi, mettetevi comodi sul divano e armatevi di popcorn. Se invece volete rischiare, accodatevi al gregge dei daily-traders in versione Gordon Gekko. Sicuramente, andrà tutto bene. Come con il Covid.