Alto Adige apripista? In Italia la Provincia autonoma Alto Adige/Suedtirol sembra sia la prima a intraprendere una via “coreana” e attiva nella lotta al Covid-19, che soprattutto in questa seconda ondata ha battuto forte in questa provincia di confine.
In Suedtirol/Alto Adige ci provano a partire dal 20 novembre: test di massa. Lo screening punta a fotografare una buona fetta di popolazione (almeno 350mila persone su 530mila) tramite un test antigenico, che in mezz’ora dà il risultato. Uno dei vantaggi, spiegano, è che questi test possono essere effettuati anche fuori dai laboratori. Il test antigenico consiste in un tampone che viene introdotto nel naso, poi immerso in una soluzione che discioglie il materiale prelevato: bastano alcune gocce di questo liquido in una cassetta per il test e dopo 20 minuti si vedranno comparire delle strisce sulla cassetta stessa. Se le strisce sono due, la persona è positiva; se la striscia è una sola, l’esito del test sarà negativo. In parallelo la Provincia invita la popolazione a presentarsi allo screening.
È una strategia che può portare dalla modalità “top” a quella “flop” in un attimo. Infatti la soluzione adottata dalla Provincia di Bolzano (in sinergia con il ministero della Sanità, attento osservatore) può portare a una svolta: una graduale riapertura dopo aver “centrato” le zone di trasmissione.
Questo però, meglio sottolinearlo, non può avvenire subito, ma solo in una fase successiva. Il test indicherà “a tappeto” la presenza di zone ad alto e basso contagio, a situazione congelata in Corea del Sud hanno bloccato le zone cluster. Per aprire i territori a basso contagio bisogna essere sicuri che le interazioni di trasmissione siano interrotte. Ma come?
Big data, App e frontiere chiuse: i tre assi del modello coreano
A Seul hanno applicato i protocolli Mers (virus simile alla Sars), risalenti al 2015, con tanto di legislazione annessa. I positivi bloccati 21 giorni (in Italia sarà 10) e trattamenti sanitari anche agli asintomatici (come in Cina), atti a ridurre la carica virale (protocollo Korea Centers for Disease Control and Prevention). La Corea del Sud si è affidata poi alla tecnologia: Big data raccolti con i test, app con gps obbligatoria, tracciamento con carte di pagamento, codici Qr di “status sanitario” che indicano il proprio stato negativo, Intelligenza artificiale applicata al movimento del singolo che consiglia i luoghi ritenuti più sicuri. La Corea del Sud ha praticamente azzerato il contagio in 60 giorni, ripetendo i test su più livelli (settori di lavoro, test massivo su scala ridotta) e nel frattempo mantenendo le frontiere sigillate.
Il modello di Seul è osservato speciale nei Paesi europei, ma anche gli Usa sembrerebbero interessati, secondo quanto dichiarato dal direttore del National Institute of Allergy and Infectious Disease, Anthony Fauci. Un sistema collaudato, come vediamo dal primo grafico qui sotto: anche la Cina lo ha adottato, stringendo ancora di più le maglie di confine (quarantena obbligatoria anche per negativi ai test, divieto assoluto d’entrata ai non lavoratori).
L’Alto Adige può fare altrettanto? Serve osare
In realtà, è possibile, ma serve osare. L’asse Big data lo si raggiunge con i test, raccogliendo la “mole” di dati. L’App è rappresentata da Immuni (in Italia si è andati leggeri con l’App per questioni di privacy), in Italia non si può imporre nulla, sta alle istituzioni far capire alla popolazione che si può uscire dal tunnel del Covid-19 e abbassare i contagi in vista di marzo (vaccini o no, la terza ondata è altamente probabile) evitando lockdown e soprattutto tutelando l’interesse nazionale. In Corea del Sud “uscire prima dalla crisi” di Giappone o Cina ha rappresentato un motore civico non secondario. Serve, però, che il Governo italiano blocchi le frontiere in entrata (escluse attività lavorative e strategiche, comunque in testing) o la fase 2 post screening porterà in dote i medesimi problemi post estate e ci si troverà a febbraio come a ottobre (a settembre l’Italia era tra le nazioni meglio messe in Europa).
Per riuscire in questo progetto servirà determinazione da parte della popolazione, ma grande strategia nella fase 2 e 3. Vanno subito spiegate le fasi con chiarezza: uscire dal tunnel è possibile, serve organizzazione (e aiuto economico in parallelo), applicazione di modelli matematici (in assenza di Intelligenza artificiale) che vadano a mappare le zone-cluster bloccando l’origine di nuovi focolai. In Corea del Sud questo momento è stato delicatissimo.
Servirebbe, inoltre, un centro provinciale di raccolta dati svincolato da tutto, indipendente, che tracci tutto e simuli gli scenari, un super team di 15/20 esperti (provenienti da più settori) con propria comunicazione e dotati della massima tecnologia disponibile a livello di software.
L’Alto Adige/Suedtirol ha deciso una strategia “attiva”, ma deve osare nelle fasi 2 e 3: blocco delle frontiere e tracciamento. E la fase post testing è un limbo in cui la differenza tra flop e top è sottilissima.