Dal punto di vista storico dovrebbe essere ovvio, soprattutto se si interpreta la dinamica conflittuale della storia in una luce squisitamente realistica, sottolineare che le alleanze fra Stati non sono mai eterne, ma determinate da interessi che non possono essere permanenti, bensì mutevoli.
In un’ottica di realpolitik ciò significa che le relazioni tra Stati si costruiscono sugli interessi nazionali e dunque sul vantaggio reciproco e non sulla dimensione morale. Proprio perché gli interessi sono mutevoli, i rapporti tra Stati mutano di continuo e sono quindi in costante trasformazione.
All’interno di questa cornice, sovente gli Stati decidono di allearsi fra di loro solo per raggiungere determinati obiettivi che possono essere ora di natura economica ora di sicurezza puramente militare. Proprio per questo l’alleato di oggi può diventare il nemico di domani. In altri termini, i veri e propri alleati sono coloro che forniscono qualcosa che i singoli Stati non possono avere. Allo scopo di illustrare questa semplice tesi mi sembra opportuno fare alcuni esempi di natura storica.
Venezia durante il XVI secolo, pur essendo cattolica, aveva ottimi rapporti di natura economica con l’Impero ottomano; infatti, in più occasioni, la Repubblica si servì di Costantinopoli per esercitare pressioni politiche sui propri vicini e sui propri rivali, poiché la principale preoccupazione era quella di salvaguardare le rotte commerciali marittime e quindi l’Impero ottomano non poteva che essere il suo principale alleato.
Sempre nel XVI secolo Francesco I, sovrano francese, pianificò operazioni militari in sinergia con l’Impero ottomano – governato dal Sultano Solimano – contro l’imperatore Carlo V.
Per venire ad esempi tratti dalla storia contemporanea basti pensare alla guerra Iran-Iraq degli anni 80, nella quale gli Stati Uniti aiutarono gli iracheni sia sotto il profilo dell’intelligence militare sia sotto il profilo della logistica. Dopo la conclusione della guerra gli Stati Uniti considerarono il leader politico Saddam Hussein il loro principale nemico.
Ma è opportuno andare più nello specifico proprio allo scopo di sottolineare la provvisorietà delle alleanze: sempre durante la guerra Iran-Iraq, il presidente americano Reagan inviò a Baghdad un emissario con lo scopo di stabilire relazioni di tipo diplomatico, offrendogli un concreto aiuto per sconfiggere l’Iran. Questo emissario altri non era che Donald Rumsfeld; vent’anni dopo sarà proprio lo stesso Rumsfeld a essere uno dei principali artefici dell’invasione dell’Iraq e del rovesciamento politico e militare di Saddam Hussein.
Per venire ai tempi più recenti è sufficiente pensare al rapporto Stati Uniti-Giappone. Se durante la Seconda guerra mondiale, alla stessa stregua della Germania hitleriana, il Giappone rappresentava un formidabile avversario per gli Stati Uniti, oggi costituisce invece un indispensabile alleato allo scopo di contenere la proiezione di potenza cinese nel Mar cinese meridionale.
A tal proposito Giappone e gli Stati Uniti hanno iniziato il 26 ottobre le esercitazioni aeree, marittime e terrestri intorno al Giappone a scopo di deterrenza e contenimento nei confronti dell’attività militare cinese nell’Indo-Pacifico.
L’esercitazione – denominata Keen Sword – è la prima grande esercitazione da quando Yoshihide Suga è diventato primo ministro del Giappone. Secondo quanto dichiarato dal generale Koji Yamazaki, la situazione relativa alla sicurezza per il Giappone è diventata problematica, come d’altra parte confermato dal generale Kevin Schneider, comandante delle forze statunitensi in Giappone, che ha sottolineato come la recente attività della Cina preoccupi sia Washington che Tokyo.