Il coronavirus corre più velocemente perché è mutato. Lo conferma un nuovo studio su Science, secondo cui la variante D614G è più contagiosa. Nello specifico, il virus Sars-CoV-2 che presenta questa mutazione è più efficiente nell’infettare le cellule delle vie respiratorie umane. Il problema è che questa variante rappresenta il 99% di tutto il coronavirus in circolazione. Si spiega anche così, dunque, l’accelerazione dei contagi. Infatti, ad ottobre è stato registrato un quarto dei casi dall’inizio dell’epidemia. A firmare lo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica è Ralph Baric della North Carolina University, uno dei massimi virologi del mondo, il quale ha spiegato che il coronavirus si trasmette in modo più rapido. Con questa variante prolifera in vitro circa 10 volte più rapidamente. I pazienti contagiati dal coronavirus che contiene questa variante presentano una carica virale più alta nelle vie respiratorie superiori rispetto alla variante originale, ma a ciò non corrisponde una maggiore gravità dei sintomi. Anzi, questa versione è più vulnerabile agli anticorpi e, potenzialmente, anche ai futuri vaccini.
CORONAVIRUS DOPO MUTAZIONE: COME È CAMBIATA LA “SPIKE”
Il coronavirus ora è più contagioso, ma non più letale, anzi col vaccino potrebbe essere più semplice attaccarlo. Questa variante non esisteva all’epoca di Wuhan. È comparsa in Italia a febbraio ed è stata protagonista della nostra prima ondata. Uno studio dei ricercatori di Los Alamos, pubblicato su Cell, ne ha seguito la diffusione: a marzo aveva già spazzato via le altre varianti nel Nord Italia, che invece c’erano al Centro e al Sud. La mutazione è diventata prevalente in Europa e poi ha cominciato a diffondersi negli Stati Uniti. Ora è al 99,9% ovunque.
L’accelerazione della pandemia potrebbe avere a che fare, secondo quanto riportato dal professor Ralph Baric, col fatto che si diffonde più rapidamente tramite goccioline e aerosol. Quest’ultimo tipo di trasmissione è più efficiente nella versione mutata, secondo Yoshihiro Kawaoka dell’università del Wisconsin, uno degli autori dello studio. La mutazione fa prendere una forma diversa alla proteina spike, che si apre leggermente rispetto alla versione originaria. Così riesce a penetrare più facilmente nelle cellule dell’uomo, ma d’altra parte così scopre il fianco agli anticorpi e diventa potenzialmente più “vulnerabile”.