Le notizie che arrivano dalle grandi case farmaceutiche e dai centri di ricerca dicono che ormai l’avvio del vaccino anti-Covid si avvicina. Tutti i Paesi stanno programmando (chi di più e chi purtroppo con Arcuri) campagne di vaccinazione di massa. E siamo abbastanza certi che se anche i no vax sono in crescita, saranno sempre troppo pochi per arrivare a intasare gli ospedali. È quindi ora possibile avviare i tavoli di progettazione per programmare gli interventi necessari ad investire al meglio le risorse che serviranno a sostenere la ripresa.
In primavera il Governo diede forti segnali, non tutti utili ma significativi, di interesse per sviluppare un progetto Italia. Oltre all’incarico a Colao fu lo stesso presidente del Consiglio a fare incontri durati ben 15 giorni per raccogliere idee da tutto l’associazionismo possibile e immaginabile del nostro Paese. Oggi pare invece che il dibattito su come sostenere e rilanciare la nostra economia sia secondario o si stia svolgendo in modo oscuro.
Come evidenziato da tutti gli osservatori economici, le priorità del nostro Paese sono quelle legate al sostegno all’industria (rimaniamo nonostante lo si dica poco il secondo Paese manifatturiero d’Europa) e al recupero di produttività. Questi due temi indicano anche la strettoia attraverso cui devono stare in equilibrio le misure che saranno prese. Dovranno convivere misure di risanamento del debito con capacità di finanziare riforme in grado di cambiare in modo strutturale alcune lacune del nostro sistema economico.
Per quanto riguarda l’occupazione dovremo passare dai bonus a pioggia a politiche di formazione per le figure professionali indispensabili a sostenere la transizione dell’economia green e digitale. Defiscalizzare l’assunzione di giovani e donne può essere utile nel brevissimo periodo (più utile se localizzato al sud a sostegno di piani di sviluppo per nuovi insediamenti produttivi), ma è molto più importante impostare un nuovo modello di formazione valido sia per i giovani che come programma di formazione permanente per formare le competenze necessarie a sostenere la transizione tecnologica in corso.
Questa impostazione “strutturale” deve tenere conto della reale disoccupazione con cui ci si troverà a misurarsi all’avvio della ripresa economica. Nelle ultime dichiarazioni del ministro del Lavoro emerge la volontà di arrivare all’obiettivo del 70% di tasso di occupazione complessivo nei prossimi anni, vorrebbe dire avere un incremento della occupazione di circa 3,8 milioni di persone. Se vogliamo perseguire realmente tale obiettivo dobbiamo conoscere il bacino di coloro che, di fronte alla ripresa economica, ingrosseranno le fila dei disoccupati. Ciò è indispensabile perché, come visto nei mesi scorsi, il numero reale dei disoccupati attualmente stimabile è di oltre due milioni e mezzo di persone. A questo primo totale si arriva sommando i disoccupati dichiarati e quanti sono invece finiti ad aumentare il numero degli scoraggiati, ma che si dichiarano disponibili a lavorare al mutare delle condizioni dell’economia.
La crisi attuale è stata definita da più parti di tipo asimmetrico. Ha colpito sia la domanda che l’offerta di beni, ma, soprattutto, ha azzerato il mercato in alcuni settori economici e favorita la domanda in altri. La scelta di accompagnare la cassa integrazione con il vincolo di bloccare i licenziamenti (vincolo esteso fino a marzo prossimo) ha in parte nascosto che molti posti di lavoro saranno soppressi alla fine del periodo di blocco e ha scaricato la crisi su quei lavoratori che avevano contratti fuori dal perimetro delle tutele. Collaborazioni, partite Iva e contratti a tempo determinato giunti al termine, hanno così ingrossato le file della disoccupazione, aggiungendosi a quei lavoratori “irregolari” che rappresentano quasi il 15% del totale delle forze lavoro.
A fronte di una decisa ripresa della domanda di lavoro avremo inoltre una spinta per adeguare livello e orario di lavoro di quanti oggi sono sottoccupati rispetto al loro livello di preparazione o rispetto all’orario di impegno. In questi anni vi è stata una crescita anomala del part-time involontario al punto che quasi un milione di nuovi posti di lavoro, creati negli ultimi anni, ricade in questa categoria contrattuale. Sono lavoratori che spesso poi arrivavano al reddito necessario con altre attività svolte nell’economia informale e che oggi, in assenza di altre risorse, cercano di ottenere un’occupazione a tempo pieno.
A questa composizione di quanti cercheranno un lavoro stabile e di qualità si sommano le anomalie per età, di genere e territoriali che caratterizzano il mercato del lavoro italiano. La stratificazione di disoccupati, scoraggiati, lavoratori parziali e informali crea una situazione di forte divisione fra chi gode di tutele del posto di lavoro e del reddito e chi invece non ha tutele. Ciò resta valido fino a quando la persona scende a un livello di povertà tale da essere preso in carico dai servizi sociali.
Intervenire per favorire e sostenere l’occupazione attraverso bonus di reddito, sussidi e vantaggi contributivi diventa oggi uno spreco di risorse destinato ad acuire differenze sociali destinate ad alimentare nuovi conflitti fra poveri. Dire oggi che non si possono affrontare le fatiche per operare riforme profonde è cercare di rispondere alla crisi con solo la forza delle proprie mani.
È oggi indispensabile fare una riforma di fondo degli ammortizzatori sociali che coniughi il meglio delle esperienze di politiche attive del lavoro, politiche di inclusione contro le povertà e strutture di offerta formativa che sostengano l’occupabilità delle persone lungo tutto l’arco della vita. La sfida di operare un salto tecnologico dotando la Pubblica amministrazione e tutto il settore dei servizi della produttività offerta dalla digitalizzazione di molte operazioni richiede che vi siano politiche attive del lavoro che sostengano la transizione.
Analogamente il passaggio dell’industria all’economia circolare ha necessità di un sistema moderno di ammortizzatori sociali. Assieme a un progetto per la crescita delle competenze di quanti saranno coinvolti dalle crisi e dovranno cambiare occupazione sono queste le riforme indispensabili per sostenere un deciso incremento nella produttività del sistema e dell’occupazione, per una crescita in grado di aprire una fase di sviluppo equilibrato.