“Decisioni per le cure intensive in caso di sproporzione tra necessità assistenziali e risorse disponibili in corso di pandemia da Covid-19”: s’intitola così il protocollo per le terapie intensive emanato nei giorni scorsi dall’Istituto superiore di sanità. Il documento fornisce le coordinate per stabilire, in caso di sovraccarico delle terapie intensive, l’ordine di priorità fra i pazienti Covid. Precedenza a coloro che hanno maggiori possibilità di sopravvivere, scelte di équipe e attenta valutazione di tutti i criteri: attenzioni che vengono già adottate nella prassi della terapia intensiva, ma in prospettiva di un’eventuale saturazione degli ospedali erano indispensabili linee guida chiare e uniformi. Ne parliamo col professor Emanuele Catena, Direttore responsabile di rianimazione e anestesia all’ospedale Sacco di Milano.
Professore, un commento sul protocollo per le terapie intensive.
Secondo me è corretto che le società, in questo caso la Siaarti (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva, ndr), promuovano questo tipo di documento per dare a tutti i colleghi una linea guida unitaria di comportamento. Va detto che però siamo lontani oggi dalle condizioni che favoriscono l’applicazione di un documento così.
Perché?
In questa seconda ondata siamo riusciti, non solo all’ospedale Sacco ma anche nella maggior parte delle altre situazioni, a equilibrare l’offerta di posti letto per le cure intensive con la domanda. Abbiamo anche un coordinamento di terapie intensive lombarde, fa capo al Policlinico. Se in qualche ospedale abbiamo dei pazienti cosiddetti “pending“, per i quali non abbiamo i posti letto, la rete sopperisce. L’astensione terapeutica, che vuol dire non iniziare manovre di rianimazione oppure interromperle una volta che queste sono iniziate, si fonda comunque su criteri precisi che esistevano anche prima del Covid.
Cioè?
Un paziente entra in terapia intensiva se le cure rianimatorie che noi gli offriamo sono proporzionate alla sua situazione, se ha una chance di riceverne beneficio. Ci si astiene dalle manovre rianimatorie quando queste sono sproporzionate, in eccesso, irragionevoli, cioè quando si fa terapia intensiva con una probabilità del paziente di beneficiarne prossima allo zero. Questo è il criterio in base al quale non vengono erogate terapie intensive.
L’età non è un criterio?
L’età non è mai stata un criterio, tanto è vero che nelle nostre rianimazioni Covid abbiamo un 25% dei soggetti che è over 70 e abbiamo anche degli ultraottantenni. Vuol dire che quando c’è un’indicazione e l’appropriatezza di ricovero si ricovera anche il soggetto anziano.
Il documento cosa dice in proposito?
Il documento dice che, in condizioni emergenziali, si dà vantaggio in terapia intensiva a colui che ha maggiore probabilità di beneficiarne. Di solito questo coincide con l’età giovane, però non è detto, non è quello il criterio vincolante.
Quindi il documento conferma la vostra prassi usuale?
Non la modifica di molto, la modificherà se ci troveremo di fronte a situazioni quasi catastrofiche, se avremo un flusso abnorme in pronto soccorso e rianimazione.
Perché il documento arriva proprio adesso?
È giusto che si emani un documento perché comunque è meglio prevenire. Se ci dovessimo trovare in condizioni estreme, sapremmo cosa fare, le società fanno di questi documenti in tantissimi altri settori della terapia.
Non è il segnale di un’imminente intensificarsi degli afflussi?
No, negli ultimi giorni si sta notando una riduzione del flusso in pronto soccorso, una riduzione in generale dei ricoveri, e quindi secondo me ci possiamo aspettare tra qualche giorno un trend favorevole, una stabilizzazione e poi l’inizio di una discesa delle curve di ricovero. C’è un moderato ottimismo fra noi intensivisti.
Quanto sono difficili le decisioni?
Sono molto difficili e mettono a dura prova dal punto di vista psicologico medico e infermiere che assiste il malato.
E quanto sono discrezionali?
La regola d’oro è che sia sempre una decisione di équipe. Non parlo dello scenario d’emergenza, da medicina catastrofica, ma proprio della conduzione normale della terapia intensiva. Quando si decide la sospensione di un trattamento, si decide con l’accordo di tutti. E anche se uno solo di noi non è convinto, non necessariamente il primario o l’anziano, ma anche il medico giovane o lo specializzando, piuttosto ci si ferma e si riparte con l’istruttoria. L’atteggiamento è garantista nei confronti del paziente, è questo il modo di lavorare.
(Emanuela Giacca)