MINNEAPOLIS – La Corte Suprema ha accolto con 5 voti favorevoli su 9 il ricorso presentato dalla diocesi di Brooklyn e dalla congregazione ebrea ortodossa Agudath Israel, anch’essa di Brooklyn, il più popoloso borough di New York. Nocciolo della questione, le restrizioni imposte anche ai luoghi di culto dal governatore (democratico) dello Stato di New York, Andrew Cuomo. Il verdetto della Corte ha dichiarato illegittime le suddette restrizioni. Va detto per onore di cronaca che alcune di queste restrizioni sono state di fatto superate, ma la problematica di fondo resta.
Come tutte le persone comuni (non mi azzardo a dire “normali”) rispetto a questa decisione mi ritrovo, come si direbbe qui, “between a rock and a hard place”, tra l’incudine ed il martello. L’incudine ed il martello sono da una parte la sacrosanta libertà religiosa, diritto “essenziale” dell’individuo e fondativo della società statunitense, come sancisce la Costituzione americana e come ha ricordato su queste pagine Nicola Berti, e dall’altra le circostanze drammatiche in cui il coronavirus ha fatto precipitare il mondo intero, ed i rischi obiettivi che raduni numericamente rilevanti pongono. Soprattutto nel distretto più affollato (Brooklyn, appunto) di una delle città più affollate del mondo dove proprio cattolici ed ebrei costituiscono i nuclei più numerosi. E se i cattolici sono soliti radunarsi in numeri ancora significativi per la messa domenicale, gli ebrei ortodossi lo fanno in numeri da palasport.
Ed ecco la grande domanda che salta fuori tra quell’incudine e quel martello: si può salvaguardare la libertà religiosa pur ponendo limiti temporanei ad alcune forme della sua pratica, o è indispensabile alzare gli scudi per difenderne la libertà di espressione ed evitare quello che potrebbe diventare un punto di non ritorno?
Tanto per capirci: quando parliamo delle restrizioni in atto stiamo parlando di mosse (solo apparentemente temporanee) poste in essere dalle autorità atte a sminuire (ed eventualmente minare) la rilevanza sociale della fede religiosa o siamo solo di fronte a provvedimenti dettati esclusivamente da ragioni di salute pubblica in tempi di emergenza sanitaria? Ed i ricorsi della diocesi e del mondo ebreo ortodosso sono mere azioni politiche dettate da un’evidente (e giustificabile) ostilità nei confronti del governatore, o tentativi di affermare che nessun potere di questa terra può tracciare i confini del mio essere ed agire come credente?
Immagino che i nove giudici della Corte, Costituzione alla mano, si siano chiesti proprio questo, ma non sono sicuro che la loro “risposta” sia stata adeguata. Tutta la stampa oggi riporta brevi passaggi dei pronunciamenti di alcuni giudici. Molti mettono in risalto quello di Gorsuch, giudice di fede protestante. Nel fondare il proprio parere Gorsuch sottolinea quella che a suo avviso è una grave contraddizione nell’operato del governatore. Cuomo, il governatore, ritene lecito e non lesivo della salute pubblica che si vada in bottega a comprare una bottiglia di vino, mentre radunarsi per un servizio religioso pone rischi da evitare e quindi va vietato. Ecco, non mi sembra né un parere ragionevole, né un affronto centrato della questione. Sembra piuttosto che la politica impedisca una riflessione seria, invece di favorirla.
Tutto questo accade mentre siamo all’inizio (Trump permettendo) di una nuova presidenza. L’amministrazione Biden sta prendendo forma, la squadra di governo si sta definendo. La Corte Suprema gli manda a dire che farà valere il suo peso.
God Bless America!