Daniela Rombi nella strage di Viareggio perse la figlia Emanuela Menichetti, ad appena 21 anni. Il racconto della donna sarà affrontato con estrema delicatezza da Domenico Iannacone nel corso della prima puntata del programma “Che ci faccio qui”, in onda nella seconda serata di oggi 30 novembre, dalle 23.15 su Rai3. Daniela entra a pieno titolo nella lista delle mamme coraggio, la quale assistette per 42 lunghi giorni all’agonia della figlia presso il centro grandi ustionati di Pisa, prima di doverle dire addio per sempre. Emanuela fu una delle 32 persone morte nella strage di Viareggio, quella che si consumò alle 23.48 del 29 giugno 2009, quando un treno carico di gpl e lanciato a 90 chilometri orari deraglio in piena stagione provocando un vero e proprio disastro sul quale si pronuncerà a breve la Corte di Cassazione. Il sette agosto di quell’anno, Daniela Rombi appuntò sul suo diario: “7 Agosto. Emanuela ha avuto un ictus. È finito tutto. È finita la vita”. Tra quelle pagine la madre segnò le tappe del lungo calvario che spezzerò per sempre i sogni della giovane figlia Emanuela Menichetti. La sera della strage la 21enne era andata a dormire da un’amica, in una delle case divorate dalle fiamme. “Lì si è fermato tutto. Lì è cominciata la tragedia. Che non è ancora finita. E non finirà mai”, ha raccontato la donna in una intervista all’Huffpost.
DANIELA ROMBI, MADRE EMANUELA: MORÌ NELLA STRAGE DI VIAREGGIO
La notte del disastro di Viareggio di 11 anni fa Daniela Rombi fu svegliata da una telefonata: “Era mia figlia. Mi disse che c’era stato un incendio, ma che non dovevo preoccuparmi perché “lei stava bene”. Io non sapevo niente, se non che non potevo essere lì ad aiutarla”. Il pensiero fisso della donna e di suo marito, da allora, è proprio quello di non aver potuto far nulla per impedire che ciò accadesse: “Ero impotente. Per la paura di dimenticare, mi misi a scrivere un diario. Smisi di farlo dopo la morte di Emanuela, ma potessi tornare indietro non lo rifarei”, ha ammesso. Alla vigilia del processo di secondo grado, la donna aveva commentato il suo sentimento di abbandono da parte dello Stato che decise di non costituirsi parte civile: “Un gesto ignobile. Ci siamo sentiti abbandonati dallo Stato, buttati via. Invece di accudire i propri cittadini, di coccolarli, di stare dalla loro parte, lo Stato se n’è fregato”, aveva detto senza nascondere tutta la sua amarezza ed annunciando il desiderio di proseguire con la Cassazione: “Solo allora, forse, potremo dire che il processo sarà finito”.