Avrei voluto domenica pomeriggio fare una passeggiata in centro per qualche acquisto di Natale. La fiumana di gente indolente, non capace di puntare all’obiettivo, non frettolosa e spaventata, mi ha fatto ritrarre inorridita. Mi sono rifugiata in una chiesa, attenta a non inginocchiarmi, non sfiorare i banchi. All’ingresso, cartelli di divieto col rosso in evidenza, dispenser di gel e croci bianche sulle sedie. Avrei voluto dare un soldino a un povero sul sagrato, ma chissà che mascherina aveva, da quanto la usava! Impensabile. Avrei voluto comprare dei regali, magari un golfino da indossare a Natale o a Capodanno. Ma la Ue non ha ancora indicato i capi adatti, sicuri, a bassa trasmissione virale, abbastanza sobri.
La vetrina di un negozio di specialità alimentari mi ha attratto: ma potremo fidarci del crostino toscano? È eticamente accettabile intendo? Il paté poi si spalma con un coltello, potrebbe essere lo stesso per tutti i commensali, dovremo abituarci alle monoporzioni sigillate. Lo zucchero a velo che si spande sul pandoro, così volatile, può portare con sé particelle killer? Meglio un panettone, classico, basso e tozzo?
Pensavo a Natale di stare a cena coi miei figli, ma trattandosi di una famiglia numerosa, ahimè, credo faremo a turno, e uno di loro starà fuori. Lo reintegriamo a Capodanno, anche se la Ue ci raccomanda di passare le due sere festive sempre con le stesse persone. Non so se sia giusto escludere sempre lo stesso figlio, in effetti, ma alle raccomandazioni dei comitati scientifici come dire di no?
Siamo alle comiche, se non si trattasse della peggior tragedia antropologica che mai avremmo immaginato di vivere. La dittatura sanitaria entra a gamba tesa in ciò che abbiamo di più caro, intimo, essenziale per vivere. Gli affetti, la fede.
La fede. Se su qualcosa abbiamo scherzato, sulle indicazioni della Ue per non celebrare le messe nei giorni di Natale no, tutto vero. E quel che più lascia sconcertati e smarriti è la prudenza, o il silenzio, o la condiscendenza di alcune voci autorevoli del mondo cattolico. Non si tratta di contrapporsi al potere, di venir meno al “date a Cesare quel che è di Cesare”. Qui è Cesare che si arroga il diritto di decidere ciò che è di Dio. Qui è Cesare (magari, fosse un Cesare) che a poco a poco, con una studiata strategia che pare casuale adeguamento alla realtà, erode man mano lo spazio di libertà più sacro, quello dell’espressione della fede religiosa. Nessuno dalla Ue suggeriva di chiudere tutte le moschee in quanto pericolosi focolai di terroristi, negli anni degli attentati più feroci, in nome di un principio di libertà e rispetto per le scelte di fede.
Sono così pericolose le chiese? Nessuna evidenza scientifica, a cui si appellano i leccapiedi della nuova religione mondiale. Lo sono i centri commerciali, ma ci hanno invitato a spendere, comprare, per risollevare le sorti di economie traballanti. E se fosse più importante non far traballare l’anima? Perlomeno pretendo di poter scegliere a cosa dare la mia priorità, quanto a rischi. Eccepire però significa essere negazionisti, ottusi, egoisti, assassini. Reclamare un minimo di libertà, almeno in ambiti che la nostra Costituzione, la nostra cultura garantisce è un delitto di individualismo.
Dipendiamo dalle ansie di qualche leader periclitante e di consorzi di scienziati con voci discordi, mancano mascherine, farmaci, posti in terapia intensiva, letti in ospedale, ci affidiamo a mirabolanti vaccini di cui ancora non conosciamo l’efficacia provata, e soprattutto che ancora non si sa come stoccare, distribuire, somministrare. E davanti all’imperizia, all’inadeguatezza, alla distrazione di massa sopportiamo rassegnati la prepotenza, l’arroganza, le menzogne, il ridicolo. Responsabili, sempre, per il bene comune. Ma quando le richieste hanno un senso. Collaborativi, sempre. Ma non pavidi. Non dubbiosi. Non succubi ad un pensiero dominante che rende irrilevante la tradizione, spazzata via come orpello della fede. Che spinge sempre più la chiesa in aree protette possibilmente a supporto di un carente welfare statale.
Ci alzeremo in piedi, non per l’orario delle Messe di Natale, da sempre si celebrano in ore diverse, a seconda delle scelte di ogni parrocchia. Ma per l’impudenza, l’arroganza di chi apparenta i luoghi della fede a supermarket, la Messa a uno spritz tra amici, a una lezione di yoga. Tacere o tentennare adesso è chiudersi in un privato da cui sarà sempre più difficile uscire, anche sulle scelte più gravi che toccano il cuore della coscienza. L’Ue che ci vieta di cantare in chiesa, e stabilisce il numero dei fedeli alle messe di Natale non ha battuto ciglio davanti alle eccezioni dell’Austria nel fermare gli impianti sciistici. L’euro val bene una Messa, a Bruxelles. E anche a Roma.