Ieri la seconda banca italiana, Unicredit ha lasciato sul mercato quasi un decimo della propria capitalizzazione in netta controtendenza rispetto al settore. A muovere il titolo è stato un comunicato stampa diffuso lunedì sera con cui si annunciava che l’attuale amministratore delegato, Mustier, non avrebbe proseguito l’incarico dopo la scadenza del mandato prevista per aprile 2021. La notizia ha messo termine a mesi di speculazioni e ipotesi che si sono moltiplicate recentemente con i rumour sul destino di Banca Monte Paschi.
Secondo la vulgata che si è fatta strada sul mercato, l’ad di Unicredit era fermamente convinto di perseguire una strategia autonoma senza fusioni e aggregazioni con la banca concentrata sulla remunerazione degli azionisti. Questa strategia non si conciliava con il processo di consolidamento del settore bancario italiano in cui Unicredit, secondo i desiderata del “sistema Paese”, avrebbe potuto giocare un ruolo da consolidatore. Per la banca questo avrebbe comportato anche un’espansione, probabilmente indesiderata, del peso italiano sul gruppo e nel breve termine anche una distrazione rispetto alla “mission” di remunerazione del mercato.
Il mercato ha quindi punito la banca incorporando una possibile operazione di “sistema” nel settore bancario italiano che a breve mostrerà tutti gli effetti della crisi economica, del lockdown più lungo e duro d’Europa, in primavera, e dell’impossibilità del Governo di sostenere l’economia. Dal punto di vista di un investitore questo non può essere positivo per una banca, forse l’unica, con una dimensione europea così definita. Un report degli analisti di Mediobanca ieri evidenziava il “rischio” di un’offerta francese su Unicredit dopo la fine del mandato di Mustier. In questo contesto rimangono infatti valide tutte le ipotesi circolate negli anni passati sulla stampa che includono anche la “segregazione” della parte italiana del gruppo.
L’uscita di scena di Mustier ricorda a tutti che nel sistema bancario italiano è in corso un processo di consolidamento che definirà gli attori in gioco per molti anni. Non c’è solo Unicredit, la seconda banca italiana, ma l’ex “popolare” Banco Bpm, e poi banca Monte Paschi; è una fetta molto rilevante del sistema in una fase particolarissima in cui si dovranno affrontare il conto della crisi e le nuove normative europee. Il sistema bancario è un pezzo fondamentale del sistema Paese che si intreccia profondamente con i destini dello Stato.
Un Paese in cui falliscono le banche è a sua volta fallito e un Paese che non vuole fallire non può far fallire le banche dentro le quali sono custoditi i risparmi dei cittadini. L’ipotesi che fallisca una banca francese o tedesca è di scuola esattamente come lo era in Italia dieci anni fa; all’occorrenza Governo e banche centrali interverrebbero anche di fronte a buchi che non sono il frutto di depressioni economiche, ma solo di una gestione non accorta del rischio. Il fallimento di una banca, infatti, è un tale colpo alla fiducia di risparmiatori e imprese, e più in generale del sistema, da generare un processo distruttivo difficile da arrestare e contenere.
Questa è la partita che si sta giocando in Italia: la ridefinizione del suo sistema prima che il conto, pauroso, del lockdown si manifesti e la suddivisione di quello stesso conto. Il secondo elemento è la proprietà delle banche italiane tra azionisti italiani ed europei. Se i crediti al sistema Italia forse non fanno gola a nessuno, i risparmi invece rimangono interessanti sia per pagare il conto europeo del Covid, sia per finanziare imprese e sistemi Paesi in una fase in cui finanza e credito saranno fondamentali.