Abbiamo aspettato i vaccini contro il Covid certi che avrebbero sanato ogni nostra insicurezza. E ora che stanno arrivando, che li avremo, che finalmente potremo vaccinarci, anche i vaccini cadono nel baratro dei dubbi e delle incertezze. Sono buoni, cattivi, sicuri, non sicuri, pericolosi, inutili? Ci saranno per tutti? Da chi si comincia? Ma ci saranno aghi e siringhe? (sì, perché anche questo è diventato oggetto di dibattito!). E così ansia e paure aumentano. Tutto contribuisce a far crescere l’insicurezza. Tamponi sì, no, dove? Quarantena sì, no, quanto? Ma come sta andando l’epidemia? Meglio? O no? E intanto aumenta il dramma del lavoro. Di chi lo ha perso, di chi sa che non riuscirà a riaprire, dei precari, delle donne. E la scuola? I giovani?
Veramente viviamo come frastornati dalla nostra stessa insicurezza, paralizzati dalla nostra paura. È stato appena pubblicato il rapporto Censis 2020 che ci restituisce l’immagine di un’Italia stanca e impaurita. “Spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza: ecco l’Italia nell’anno della paura nera, l’anno del Covid-19. Il 73,4% degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia il sentimento prevalente in famiglia. In questi mesi il 77% ha visto modificarsi in modo permanente almeno una dimensione fondamentale della propria vita: lo stato di salute o il lavoro, le relazioni o il tempo libero”.
Il Rapporto prosegue con un dato non meno inquietante di quelli relativi al “ciclopico debito pubblico” individuando, tra le eredità lasciate dall’epidemia, una prima scoria. Si tratta della “propensione a rinunciare volontariamente alla sovranità personale. Il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, mentre il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, introducendo limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione, di organizzarsi, di iscriversi a sindacati e associazioni”.
Prosegue il Censis :“La paura pervasiva dell’ignoto porta alla dicotomia ultimativa: meglio sudditi che morti”. Ed emergono alcuni dati che il rapporto definisce come “il livore della logica o salute o forca”. Ne citiamo alcuni: il 77,1% degli italiani chiede pene severissime per chi non indossa la mascherina e non rispetta il distanziamento; il 56,6% chiede il carcere per i contagiati che non rispettano quarantena e isolamento; infine quasi la metà degli italiani (il 43,7%) è favorevole al ritorno della pena di morte per reati particolarmente abbietti.
Che cosa ci è successo? Che cosa abbiamo perso di così profondo da non riuscire più a rintracciare dentro di noi quelle dimensioni senza le quali la vita personale e sociale diventa impossibile (pietà, perdono, consapevolezza della possibilità dell’errore proprio e altrui, desiderio di bene e di bello, fiducia, solidarietà)?
“Dove è la vita che abbiamo perduto vivendo?” scriveva Eliot nel I Coro dalla Rocca nel 1934, e quasi profeticamente proseguiva “dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo? Dov’è la sapienza che abbiamo perduto nell’informazione?”. E ancora: “Il deserto non è così remoto nel tropico australe, il deserto è pressato nel treno della metropolitana presso di voi, il deserto è nel cuore di vostro fratello”.
Sotto la sabbia, non quella australe, ma quella delle nostre parti, quella del nichilismo nostrano, sono state sepolte le nostre esigenze. Il vento del deserto rischia di cancellare dall’esistenza i segni delle evidenze più elementari. Esigenze ed evidenze, questo zoccolo duro dell’umano che don Giussani ha chiamato esperienza elementare, o più semplicemente “cuore”. “Un complesso di esigenze e di evidenze con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste”, aggiungendo che “esse possono essere riassunte con diverse espressioni come: esigenza di felicità, esigenza di verità, esigenza di giustizia. Sono comunque come una scintilla che mette in azione il motore umano; prima di esse non si dà alcun movimento, alcuna umana dinamica”.
È la percezione di questo cuore che rischiamo di perdere e con esso la vibrazione della libertà, l’esperienza dell’ amore all’altro, il senso cocente di cosa è vero e di cosa è falso, di cosa è umanamente giusto e di cosa non lo è, il gusto di mettersi insieme per far andare meglio il mondo. Se ancora percepiamo il baluginare di quella scintilla di cui parla don Giussani è perché il desiderio del cuore non molla, e comunque, a tratti, lacera il grigiore del nichilismo. Non possiamo sottrarci all’impeto che ci porta a stare attivamente dalla parte di questo baluginìo, educando e costruendo a partire da esso.