L’ex giocatore del Milan Robinho (vero nome Robson de Souza Santos) è stato condannato anche in secondo grado a 9 anni di carcere con l’accusa di violenza sessuale di gruppo su una ragazza che all’epoca dei fatti – nel 2013 – aveva 23 anni. La Corte d’Appello di Milano ha così confermato la medesima pena già decisa in primo grado. Oggi Robinho ha 36 anni e di recente era tornato a giocare nel Santos, squadra brasiliana che fu di Pelè. Alla luce delle nuove notizie sul processo milanese, però, la squadra ha deciso di metterlo fuori rosa. I giudici del secondo grado hanno confermato la sentenza per violenza sessuale di gruppo inflitta in primo grado, nel 2017 anche a carico Ricardo Falco, suo amico ed anche lui coinvolto nello stupro di gruppo ai danni di una ragazza albanese. Era il 22 gennaio del 2013, come rammenta il Corriere della Sera, quando la giovane si trovava insieme ad alcune amiche nel Sio Cafè di Milano per festeggiare il suo compleanno. Nel medesimo locale era presente anche Robinho con la moglie ed almeno altri cinque amici. Nel corso della serata il calciatore accompagnò a casa la consorte per poi fare ritorno nel locale per unirsi ai suoi amici ed alla ragazza albanese che già conosceva Robinho.
ROBINHO, CONDANNA CONFERMATA: 9 ANNI PER STUPRO DI GRUPPO
La serata trascorse tra alcol e divertimento fino a quando, come sostenuto dal pm Stefano Ammendola, la giovane fu fatta ubriacare dagli uomini al punto da renderla “incosciente e incapace di opporsi”. Quindi la portarono nel guardaroba del locale e la violentarono in gruppo senza che lei potesse opporsi a causa dell’alcol. Proprio l’ex calciatore del Milan iniziò a stuprarla per primo seguito dall’amico Ricardo Falco e poi a turno dagli altri quattro uomini mai identificati e che erano rimasti a guardare. Dopo essere stato sentito in procura Robinho lasciò l’Italia per tornare a giocare in Brasile. Le intercettazioni raccolte durante le indagini fecero emergere, come scritto dai giudici del primo grado, l'”assoluto dispregio” mostrato dagli imputati verso la ragazza con epiteti ed offese, “crudi e sprezzanti, segni inequivocabili di spregiudicatezza e quasi di consapevolezza di una futura impunità”. Durante il processo d’Appello le difese hanno tentato di dimostrare attraverso una serie di consulenze tecniche che la giovane fosse dedita all’alcol. L’avvocato Jacopo Gnocchi, difensore della vittima, ha commentato: “Questa sentenza è un esempio per la tutela della donne che dimostra che il sistema c’è, quando serve”. La giovane ha ottenuto un risarcimento di 60 mila euro mentre i due imputati hanno annunciato ricorso in Cassazione.