Caro direttore,
sì lo confesso, sono uno dei milioni di italiani che si è iscritto al cashback. Non ho scusanti, non ho resistito e devo ammettere che, nonostante quello che dice il ministero sulla risolta funzionalità, con accanimento più volte ho cliccato per avviare l’iscrizione… neanche per quella di mio figlio alla scuola avevo insistito così tanto. E quando alla fine è arrivata la notifica di avvenuta iscrizione, un sentimento di sollievo mi ha preso: facevo parte di quel mondo nazionalpopolare che tutti nei conciliaboli pubblici rinneghiamo, ma che poi nel segreto delle mure domestiche accende la TV per vedere la finale del Festival di Sanremo, ad esempio.
Probabilmente penserai che mi sono venduto al Governo per un piatto di lenticchie, ma cosa ti posso dire? Tanto li avrei (forse) spesi comunque quei soldi e allora perché non cogliere la palla al balzo di portare a casa un piccolo, piccolissimo rimborso che, tradotto in beni (ovviamente di consumo) vogliono dire due fette di culatello in più, un aperitivino offerto agli amici o “quellochettepare”…
Immagina poi cosa succederebbe se associassero l’app di Immuni a questa del cashback: avrebbero risolto il problema di insistere da mesi su Immuni e sarebbe già al top della classifica dei download. Siamo fatti così, dacci un rettangolino di carta da grattare e non resistiamo.
Mi sento “quasi” appagato… ma cos’è questo piccolo disagio che in fondo in fondo sento? Dov’è andata a finire quella politica che sapeva indicare un orizzonte ideale per il quale valesse la pena sacrificarsi e lavorare tutti, per il quale donare e non solo ricevere, stringere i denti per poi abbracciare? O forse questa classe politica, come ogni classe politica, rispecchia poco o tanto qualcosa di noi? Cosa deve cambiare in me prima che negli altri?
Meno male che viene il Natale, cioè quella nascita che sola può riscattare, nel senso letterale del termine, tutta la mia umanità, compresa la debolezza del… cashback.