Il Festival di Sanremo rischia di tramutarsi in una potenziale, pesante ingiustizia. A ridosso dell’annuncio ufficiale del cast – tra stelle di oggi, debutti e grandi ritorni – che il patron Amadeus ha confermato essere di ben 26 Big in gara (sei in più oltre ai 20 inizialmente previsti), è lecito consentirsi una preziosa e significativa riflessione.
Sono mesi che il Direttore Artistico e Fiorello battagliano con la Rai nella speranza di poter avere il pubblico in sala, anche se in forma ridotta, stanti le prescrizioni normative da Covid-19.
Ora, visto e considerato che lo Stato di emergenza è stato prorogato sino al 31 Gennaio (rendendo così altamente infelice la solennità di San Giovanni Bosco, Santo per antonomasia dei giovani follemente innamorato della musica a fine aggregativi e contemplativi), e che Palazzo Chigi, con la ‘mitica’ coppia Conte-Casalino, da un anno a questa parte ha ormai abituato il popolo ‘sovrano’ a scoprire tutte le novità quasi sempre sotto data, c’è già qualcuno che vocifera di un possibile allungamento del periodo critico sino al prossimo 31 marzo.
Con il rischio che a Sanremo 2021 e alla Liguria potrebbe essere riservato un trattamento di favore in termini di adozione di misure di contenimento decisamente più elastiche. Che produrrebbero effetti di positiva ricaduta per commercio, turismo, ristorazione, intrattenimento: creando però al contempo, quale contraltare, uno spiacevole dislivello rispetto a tutto il resto dell’Italia in sofferenza. In special modo verso tutti coloro che alla data del prossimo e imminente 31 Dicembre abbasseranno per sempre la saracinesca, altrettanto pronti alla cancellazione definitiva della propria partita Iva.
Dunque, checché ne dica Amadeus, Sanremo può andare tranquillamente in onda anche senza platea in sala. Non vi è chi non veda per quale motivo al carrozzone canterino si debbano applicare criteri di differenziazione esclusiva, quando da febbraio 2020 tutta la televisione italiana è andata in onda praticamente in assenza di pubblico, inclusi i più importanti megashow e talent di Rai, Mediaset e Sky.
Se Sanremo è festa, allora festa sia. Ma per tutti. Per un intero Paese già irritato e stremato da misure maculate e spot rivelatesi del tutto inadeguate e insufficienti a fronteggiare sia economicamente che sul piano della salute un’emergenza che certo mainstream vuol far apparire più grave di quel che realmente è.
Se si suona all’Ariston davanti al pubblico, allora si suonerà contemporaneamente in identico modo anche nei locali, pianobar, circoli, club, teatri e discoteche con tanto di Dj set. In forma ridotta anche lì, perché no?
Lodevole senza dubbio il tentativo del conduttore de ‘I Soliti Ignoti’ di favorire più artisti possibili ampliando la rosa dei partecipanti, e lanciando così un segnale positivo all’auspicata ripresa del settore dello showbusiness.
Ma 26 artisti non sono tutti i cantanti di una nazione che da un anno, ardentemente, attendono di tornare in piazza: non certo per protestare (ne avrebbero ampio diritto, come tutti), ma solo per fare il proprio lavoro.
Che, dato il frangente in atto, assume un valore in più: restituire un sorriso di speranza a un Paese in trepidante attesa di normalità. E chiede lecitamente soltanto di ripartire il più in fretta possibile.