Il Governo ha avviato il confronto con le associazioni di rappresentanza per affrontare il tema delle politiche di tutela che possono dare un sostegno organico ai lavoratori autonomi durante i periodi di crisi. È questo uno dei “buchi” presenti nel sistema di protezione sociale messi in rilievo dal perdurare della crisi indotta dalla pandemia.
I dati dell’occupazione sono da questo punto di vista chiarissimi. L’azione congiunta dell’applicazione estesa della cassa integrazione, abbinata con il blocco dei licenziamenti, ha creato una tutela per i lavoratori dipendenti con contratti a tempo indeterminato. Ciò ha portato a un calo degli occupati con contratti a termine in scadenza e alla rottura dei contratti di incarico di quei lavoratori che collaborano con le imprese. Sono circa 400 mila i lavori autonomi scomparsi rispetto al dato di 12 mesi fa.
I sostegni finora messi in campo dal Governo sono stati i “famosi” 600 euro attribuiti a tutti i lavoratori autonomi nel mese di marzo. Poi la misura è stata prorogata per altre due mensilità, ma si è ristretto il campo dei beneficiari. Anche non tenendo conto degli errori e dei ritardi Inps nell’erogazione di quanto stabilito, è apparso chiaro che tali misure non potevano che essere considerate occasionali. Il numero di lavoratori autonomi non inquadrabili in attività ordinistiche o in settori particolari (commercianti, artigiani, ecc.) sono in numero rilevante. Con partita Iva o con iscrizione alla gestione separata dell’Inps sono circa 2 milioni di lavoratori, spesso inseriti stabilmente in strutture di impresa con compiti direzionali o di supporto a compiti legati allo sviluppo commerciale, organizzativo o di ricerca. La stessa struttura delle nostre imprese, che vede ancora prevalere quelle con dimensioni limitate, giustifica il ricorso a consulenti di vario livello per avere il supporto di competenze che la singola azienda non può permettersi di assumere a tempo pieno.
L’esigenza di affrontare il tema di un insieme di misure che funzionino come ammortizzatori sociali in periodi di crisi per questi lavoratori si è posta con forza in quest’ultimo periodo. Dal Governo sono uscite per ora due ipotesi di sostegno economico. Da un lato, la creazione di un fondo che permetta di abbattere il pagamento di tutti, o in parte, i contributi sociali a carico delle partite Iva sotto una certa soglia di fatturato (l’ipotesi per ora è di 50.000 euro). Per quanto riguarda gli iscritti alla gestione separata Inps si tratterebbe di strutturare un fondo che sia di sostegno al reddito in presenza di periodi di forte contrazione del reddito percepito. Sarebbe questo un meccanismo più limitato ma simile concettualmente alla cassa integrazione dei lavoratori dipendenti.
Le proposte sono ancora da definire meglio sia per quanto riguarda la platea dei lavoratori coinvolti che gli strumenti da mettere in campo. Si tratta di interventi legati a un periodo emergenziale o tesi a introdurre iun sostegno al lavoro autonomo di tipo permanente? La risposta a questa domanda non c’è ancora.
In preparazione degli incontri previsti per la trattativa con il Governo, l’associazione VIVACE, organizzazione di rappresentanza dei lavoratori autonomi e partite Iva promossa dalla Cisl, ha organizzato una giornata di incontri e riflessioni per cercare di definire un’ipotesi di lavoro che non si fermi alle tutele economiche, ma prenda in considerazione più complessivamente il sostegno al lavoro autonomo nelle fasi di transizione dell’economia.
Oltre alle misure di sostegno economico che devono trovare una definizione permanente, sono tre i temi che sono stati messi in luce e che verranno portati al confronto. Sono in primo luogo le tutele legate alla parità uomo-donna sul mercato del lavoro. In primis quelle legate alla maternità, ma anche ai distacchi parentali, e quelle in periodi di difesa della salute. La differenza esistente fra lavoratori autonomi e dipendenti è ancora molto profonda e, nel caso di investimenti per un nuovo passo avanti nella parità sul lavoro, si dovrà avere e un’attenzione particolare al lavoro autonomo.
È poi stata posta con forza l’esigenza di dotarsi di strumenti economici, normativi e di categoria per sostenere le politiche attive del lavoro. Il ritardo del nostro Paese nel dotarsi di una rete di servizi al lavoro è noto. Costruire una rete fra Centri per l’impiego e operatori privati accreditati che sia in grado di prendere in carico chi ha bisogno di ricollocarsi è un obiettivo spesso dichiarato, ma mai perseguito con la tenacia necessaria.
La revisione del reddito di cittadinanza, con la volontà dichiarata di separare le misure contro la povertà da quelle di reinserimento lavorativo, può riportare al centro del dibattito la creazione di un reale sistema di politiche attive del lavoro per l’Italia. Ciò è ancora più necessario per i lavoratori autonomi, che si trovano spesso senza nessun interlocutore né istituzionale, né accreditato.
Il terzo tema posto con forza è quello della formazione. Anche gli autonomi saranno interessati dai cambiamenti indotti dalla tecnologia e dalla previsione che il 50% dei lavoratori dovranno, nei prossimi 10 anni, acquisire nuove competenze per rimanere occupabili. Per chi collabora con le imprese, spesso per indicargli i cambiamenti in vista dei futuri impegni, essere un passo avanti è indispensabile proprio per difendere la propria occupabilità. La formazione di questi lavoratori è oggi lasciata agli investimenti privati. Pochissime regioni (cui compete la materia) hanno esteso ai lavoratori autonomi i programmi di formazione permanente che organizzano per i dipendenti delle imprese.
Se riteniamo che gli investimenti in formazione saranno determinanti per sostenere lo sviluppo industriale dei prossimi anni non possiamo lasciare al caso e alla buona volontà delle regioni un forte investimento in questo settore, fissando un livello essenziale di prestazione che sia base unica nazionale da cui partire con eventuali impegni locali aggiuntivi. Formazione formale e sviluppo delle soft skills sono le basi per rimettere in moto la società sapendo che un aumento della mobilità sociale del 10%, indotto da adeguata formazione, ci porterà un aumento del 5% del Pil. Non vi è oggi nessuna finanza che assicuri questi risultati.