Fioccano i retroscena sulle intenzioni e le prossime mosse di Mario Draghi. L’ultima congettura lo vede prima premier, per evitare che Conte faccia flop sul Recovery Plan, un passo falso che la Commissione europea non intende permettere, e poi presidente della Repubblica. Calogero Mannino, ex ministro politico Dc, sette legislature alle spalle, assapora l’ennesima assoluzione ma allo stesso tempo osserva la sua odissea giudiziaria, ormai conclusa, con molto distacco. Lo stesso che riserva alle cose della politica. Mannino conferma per Draghi lo “schema Ciampi”: prima Palazzo Chigi e poi il Colle. L’operazione serve alla Germania per condurre in porto tre obiettivi: il Recovery Plan, la “disciplina di bilancio effettiva” e il controllo del Mediterraneo.
Onorevole Mannino, Draghi si sta davvero preparando a scendere in campo?
Draghi tutto farebbe tranne che imbarcarsi oggi in un governo del paese. Ma su di lui sono giunte sollecitazioni fortissime dagli ambienti europei. È comprensibile.
Perché?
Perché i tedeschi, quando ci hanno voluto nell’euro, hanno fatto una scelta: l’Europa deve avere i piedi nel Mediterraneo. Le sto citando un’espressione di Kohl. E non intendono ripensarci.
Lei c’era.
Sì, ho vissuto quella fase accanto ad Andreotti e Carli.
Torniamo a noi.
La Merkel prima ha lasciato consumare la stagione che definirei della confusione sarkoziana. Poi, quando è venuto il momento, ha messo Draghi alla Bce. E ha risolto il problema italiano nel suo aspetto più drammatico.
Cioè la sua tenuta nel quadro dell’Unione monetaria. E oggi?
Germania e Olanda, nonostante la rigidità di questi ultimi, si rendono conto che se crolla l’Italia sia apre un problema gravissimo per tutti.
E cos’hanno fatto?
Bruxelles e Berlino hanno fatto capire al presidente della Repubblica, fino ad un attimo fa il mallevadore della formula M5s-Pd e di questo governo, che il cavallo non beve. C’è da aggiungere un ragionamento.
Prego.
I tedeschi comprendono che siamo in una fase di ridisegno dell’equilibrio geopolitico. Sono convinto che perfino Tump avrebbe dovuto rivedere il suo atteggiamento antitedesco, antieuropeo e antieuro.
Per quali ragioni?
Perché la logica politica si impone. Il Mediterraneo non può essere regalato a forze centrifughe. La Turchia fa parte della Nato, ma per la sua attuale strategia nano-imperialista sta rappresentando un problema rilevante. Il fatto è che abbiamo una classe di politici che non guarda nemmeno l’atlante geografico.
Abbiamo anche un presidente del Consiglio che va da Haftar a riprendersi i pescatori in ostaggio.
Una missione ridicola, e al tempo stesso carica di tutti i possibili significati negativi.
Come sono andate le cose secondo lei?
I pescatori di Mazara sono stati liberati grazie al lavoro dei servizi segreti militari italiani. Questo a sua volta è stato reso possibile da una circostanza nuova: un appoggio forte da parte americana e la disponibilità della Russia, che non intende regalare il Mediterraneo centrale a Erdogan.
Torniamo al nostro governo.
Renzi è in una situazione in cui non può che decidere per la crisi. Non perché si sia spinto troppo avanti, ma perché è talmente debole che lasciare questo governo così com’è, per lui significa morire.
A causa di Conte? Vuole il suo posto?
No. L’obiettivo di Renzi non è Conte, ma il rapporto tra 5 Stelle e Pd. Vorrebbe romperlo, per ricostruirlo condizionato da lui.
Uno scopo realistico o velleitario?
Coincide esattamente con le spinte che portano a un superamento dell’attuale governo.
Quale evoluzione vede possibile?
Da fuori Italia si guarda a Draghi come presidente della Repubblica. Però va bene anche una soluzione alla Ciampi, prima Palazzo Chigi e poi il Quirinale, ammesso che il primo non pregiudichi l’obiettivo più importante.
Sembra che parte del centrodestra – Lega e FI – sia disponibile a garantire questa ipotesi.
La Lega è a un bivio: non può rimanere su posizioni antieuro. Serve una conversione a U di Salvini.
Certo quella di Draghi al governo è un’ipotesi che va costruita. Dal punto di vista parlamentare s’intende.
Si può costruire un governo di transizione con una convergenza ampia per arrivare alle elezioni del presidente della Repubblica. Draghi come ultimo salvagente di due debolezze: quella dei due populismi, di destra e di M5s, e quella strategica del Pd.
Perché debolezza strategica?
Perché il Pd si è alleato con M5s per sopravvivere. Non ha gestito l’alleanza, l’ha subita. Dall’inizio della Repubblica tutti i governi che hanno gestito interventi massicci nell’economia, a partire dal piano Marshall, lo hanno potuto fare solo con uomini di eccellenza a via XX Settembre. Ma oggi il Pd si ritrova con un ministro dell’Economia che vale quanto il due di coppe quando la briscola è oro.
È per questo che Zingaretti sta subendo?
Sì. Se la gestione dell’Economia funzionasse, Zingaretti avrebbe in mano l’unica leva in grado di limitare o spiazzare Conte sulla gestione del Recovery. Conte ha fatto un anno di manfrina, dal piano Colao in poi, con il rischio adesso di svuotare le strutture di governo dopo avere bypassato il parlamento.
Gli si rimprovera un abuso di potere.
Può darsi. In ogni caso ha riempito la propria debolezza con il vuoto e adesso rischia di precipitarvi dentro.
Dunque ci risiamo. Italia commissariata con il consenso del parlamento.
L’Italia dovrà ricondursi all’autocontrollo: mettere in moto un programma di investimenti che in tre anni porti a un aumento di almeno tre punti di Pil. Un punto non basta, non verremmo a capo di nulla. In tal caso, dicono a Berlino, saremmo costretti a sovvenzionarvi gratuitamente e non intendiamo farlo. Insomma entreremo in una disciplina di bilancio effettiva.
Che Recovery sarà?
Non quello di Conte, che è inesistente. Servono grandi infrastrutture che nel Sud sono tuttora assenti e delle quali neppure si parla. Come puoi presidiare il Mediterraneo se non riesci nemmeno ad arrivarci?
Insomma Conte ha chiuso?
A Berlino e Bruxelles non c’è niente di quello che sta facendo questo governo che venga apprezzato positivamente. Tutto desta preoccupazione.
Allora il quadro politico dovrà mutare molto presto.
Se Renzi lo ha capito, a gennaio apre la crisi.
(Federico Ferraù)