Ieri il Financial Times ha pubblicato un articolo con alcune interessanti dichiarazioni dell’amministratore delegato di Atlantia. Il quotidiano finanziario segnalava che il gruppo ha intenzione di espandersi nel settore aeroportuale europeo mentre accelera i suoi piani di cessione dell’attività principale del gruppo e cioè di Autostrade per l’Italia. Secondo l’amministratore delegato, “molti aeroporti in Europa avranno bisogno di fare aumenti di capitale” e in questo contesto Atlantia può “giocare un ruolo attivo”. Nelle battute finali l’amministratore delegato rivendicava di aver cambiato l’80% del management e ammetteva che la società “sta soffrendo per un problema reputazionale”.
Per chi ha disponibilità finanziarie e forza patrimoniale questo potrebbe essere un buon momento per comprare perché molti settori offrono punti di entrata interessanti e si stanno aprendo opportunità che fino a dodici mesi non esistevano.
L’articolo del Financial Times presenta una società perfettamente padrona del proprio destino e la cessione di Autostrade per l’Italia non emerge come un’imposizione ma come una scelta autonoma e indipendente. Le parole dell’ad sembrano più che confermare questa “rappresentazione”. Tutto questo cozza con la narrazione che si trova sui quotidiani nazionali che descrivono le lunghissime trattative per la cessione, intramezzate, sempre più raramente, da “sparate” su una possibile revoca mentre i termini finanziari della transazione sarebbero punitivi per la società. Secondo la narrazione “governativa”, Atlantia oggi non dovrebbe essere in grado di pianificare investimenti in settori ad alta intensità di capitale con questa tranquillità. La cessione non è ancora avvenuta, non passa settimana in cui non emergono nuovi elementi dalle indagini e comunque la vendita è presentata come una punizione.
Tutta la strategia di espansione internazionale di Atlantia, soprattutto con l’acquisizione di Abertis, si basava sui generosi flussi di cassa delle attività autostradali italiane. La società certamente avrebbe ridotto un’esposizione all’Italia così pericolosa, ma senza fretta e spuntando prezzi pieni. Oggi ci aspetteremmo quindi non solo l’interruzione delle acquisizioni, ma persino una ritirata. Ci aspetteremmo questo se valesse la tesi che non c’è ancora un accordo di massima e che il prezzo sarà “punitivo”.
Invece il quotidiano dei mercati per eccellenza racconta tutta un’altra storia; il gruppo sta già pianificando le acquisizioni future e le pianifica in piena autonomia. Questo, evidentemente, non sarebbe possibile senza avere certezze sulla cessione e sui prezzi, senza sapere, insomma, come andrà a finire. Le novità del FT presuppongono invece che tutto si risolva in modo non traumatico e che il gruppo si ritrovi non solo con la forza di mantenere tutto quello che ha acquisito a debito negli ultimi anni, ma di lanciarsi in una nuova campagna di acquisizioni.
Allora ci viene questo dubbio: è il Financial Times a fare un cattivo servizio ai propri lettori presentando la realtà in modo troppo ottimistico e positivo o è la versione “italiana” a dipingere un’incertezza sull’esito e sui prezzi che non c’è più?