La linea e le scelte dall’Esecutivo per il nuovo lockdown previsto per le festività natalizie non ci persuadono mentre – come ormai denunciato dalle associazioni di categoria più numerose – risultano purtroppo insoddisfacenti e rischiano di essere tardivi i ristori per quelle attività che hanno già sofferto e dovranno subire ancor più duramente nelle prossime settimane gli effetti delle misure governative.
Premesso che si è ovviamente tutti d’accordo sulla necessità di fermare drasticamente la diffusione dei contagi, e che deve essere universale la riconoscenza da portarsi al personale medico e paramedico impegnato (sino allo stremo) negli ospedali, la domanda che ci si pone è la seguente: ma possono essere assunte misure destinate ancora una volta a incidere pesantemente oltre che sulle libertà individuali, anche sulla tenuta economica e sociale di grandi aree urbane dell’intero Paese, solo in relazione al numero di posti letto disponibili nelle terapie intensive e più in generale in rapporto alla “pressione” che la pandemia finisce con l’esercitare sulle strutture sanitarie del Paese ? La risposta, non solo dello scrivente, ma di tante autorevoli personalità, è decisamente no.
No, per varie ragioni: la prima rimanda al quesito se sinora siano state fatte rispettare (rigorosamente) in ogni zona del Paese tutte le misure disposte a suo tempo e sempre riconfermate per ridurre i contagi, dall’uso sistematico delle mascherine al divieto di assembramenti là dove più evidenti o più probabili, sino ai divieti di spostamenti quando stabiliti. Inoltre, le Usca – Unità sanitarie di continuità assistenziale preposte all’assistenza domiciliare dei contagiati, la cui stragrande maggioranza è fortunatamente asintomatica o paucisintomatica – in quali regioni e in che numero sono state costituite e sono realmente ed efficacemente operative? Da quanto riportato da autorevoli quotidiani sembrerebbe che la loro copertura del territorio nazionale sia stata sinora molto lacunosa. Ma il ministro “rigorista” della Salute Roberto Speranza è in grado di accertarlo con assoluta chiarezza mediante report periodici da richiedersi e farsi inviare (perentoriamente) dagli Assessorati regionali alla sanità? Assessorati i cui comportamenti su questo e altri aspetti del loro operato per il contrasto alla pandemia sarebbero verificabili, oltre che dai rispettivi consigli regionali, anche (se del caso) mediante l’invio di Ispettori dal Ministero.
E un protocollo terapeutico nazionale anti-Covid in uso da parte dei medici di famiglia per i pazienti che sono in isolamento domiciliare fiduciario – se pure come ci è stato comunicato risulta essere stato (tardivamente) definito – è poi realmente applicato nelle sue prescrizioni? E ne è compiuta una verifica di efficacia, quando ogni giorno ci si comunica il numero dei guariti? E con l’uso di quali terapie e in quanto tempo lo sono diventati? O ai primi sintomi non gravi molti contagiati vanno in ospedale solo perché i medici di famiglia non riescono a contattarli neppure per telefono?
E di tutti coloro che, invece, scompaiono fra la costernazione condivisibile e lo strazio inconsolabile dei loro cari si riesce a sapere con sistematicità se il Covid si è aggiunto con effetti infausti a gravi morbilità pregresse? L’Istituto Superiore di Sanità con l’ausilio dell’Istat esamina sempre tutte le cartelle cliniche dei deceduti? In realtà, il numero delle vittime comunicatoci ogni giorno, che pure ci lascia sgomenti, non ci dice molto se non accompagnato da una periodica rilevazione scientifica delle cause e concause dei decessi.
Tralasciamo ora di commentare il bailamme cui per settimane abbiamo assistito sulle varie tipologie di tamponi e la loro maggiore o minore efficacia diagnostica, e sulle strutture pubbliche, private, ospedaliere, militari, preposte a eseguirli e sugli assembramenti verificatisi in alcune aree del Paese per i necessari prelievi. Così come ignoriamo volutamente per un attimo la violenta querelle accesasi sino al 20 settembre e tuttora in corso sull’apertura o meno delle scuole e sui banchi monoposto e a rotelle necessari per consentirla in sicurezza: banchi peraltro che in 4 milioni di pezzi sono stati costruiti dalle ditte chiamate a realizzarli, con una spesa elevata per lo Stato committente. Così come tralasciamo di commentare – commentandosi in realtà da sole perché non di rado in contrasto fra di loro – le quasi quotidiane apparizioni in tv e le dichiarazioni alla stampa di intere legioni di virologi, epidemiologi e infettivologi, in alcuni casi visibilmente affetti da compiaciuto narcisismo verbalmente incontinente, e concentriamoci ora sugli effetti socioeconomici della strategia (parola grossa) anti-pandemia messa in campo dal Governo che, com’è stato più volte sottolineato, oltre a non utilizzare sinora le risorse del Mes – a proposito è colpa di bar e ristoranti se ciò non è avvenuto? – è sembrata più volta a inseguire gli eventi che non a prevenirli il più possibile, con comportamenti ondivaghi e contraddittori e decisioni che potrebbero rivelarsi dall’esito economicamente e socialmente catastrofico.
Mentre fra febbraio e aprile il Paese si è trovato di fronte a un evento ritenuto imprevedibile – anche se poi si sta verificando nelle sedi competenti se, come e quando sia stato effettivamente aggiornato il vecchio piano anti-pandemia del ministero della Salute – e la strategia dei bonus a pioggia ha cercato di tamponare con progressivi scostamenti di bilancio una situazione imprevedibilmente drammatica, da ottobre in poi – rileggendo con un minimo di distanziamento temporale le disposizioni via via assunte dal Governo – è netta l’impressione di trovarsi di fronte a improvvisazioni continue, cui peraltro sin dal maggio scorso aveva cercato di porre un qualche argine il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che, sempre più preoccupato dell’andamento del debito pubblico, dapprima ha cercato – silenziosamente, per intuibili ragioni legate all’andamento dello spread e delle aste sui titoli di Stato, sia pur con acquisti assicurati dalla Bce – di porre un qualche argine con una serie di misure specifiche per il rilancio economico fatte approvare in consiglio dei Ministri e poi incoraggiando con insistenza il sistema produttivo nazionale nella forte ripresa del terzo trimestre dell’anno.
Oggi, però, e per i prossimi mesi, la situazione della finanza pubblica italiana – è inutile nasconderselo – non consentirebbe ulteriori interventi di ristoro a chicchessia, anche perché, come sanno gli osservatori più attenti, è nascosta una bomba a orologeria sotto la montagna del debito costituita dal rischio che i prestiti ottenuti da larga parte delle imprese italiane nei mesi da marzo a giugno, e garantiti totalmente o largamente dallo Stato, non vengano più restituiti neppure a medio termine da aziende ancora in difficoltà costringendo così il Mef a ristorarli alle banche con un ulteriore, spaventoso e forse insostenibile incremento dell’indebitamento.
Allora, sono consapevoli i Ministri rigoristi – soprattutto i due del Pd (Boccia e Franceschini) che (inspiegabilmente per chi scrive) sembrano fare a gara a chi più sollecita e annuncia misure di lockdown duro (definite da qualcuno da “aguzzini di governo”) – che la situazione economica ci sta portando come ha detto Mario Draghi, riferendosi peraltro all’economia di tanti altri Paesi, sull’orlo del precipizio? E non dice proprio nulla ai Ministri rigoristi e al Cts che li consiglia il dramma di centinaia di migliaia di persone che hanno già perduto il lavoro – spesso precario e in nero, certo, ma comunque pur sufficiente per tirare a campare – e che oggi sono assistiti da Milano alla Sicilia dal grande cuore materno della Caritas e di altre Associazioni religiose cui non saremo mai abbastanza grati per come stanno assistendo i nuovi disperati del nostro Paese?
E voi, amici lettori, avete mai ascoltato almeno una parola di comprensione per il cupo dramma occupazionale e sociale in corso in Italia, nelle dichiarazioni dei professori (ben retribuiti) del Comitato tecnico scientifico, dei componenti dell’Istituto superiore di sanità o del Consiglio superiore di sanità, tutti ben remunerati e supergarantiti di Stato? Ma saranno forse loro a rispondere, anche in termini elettorali, dei provvedimenti restrittivi consigliati già a partire dalle prossime elezioni amministrative che, salvo rinvii, si svolgeranno nella prossima primavera a Milano, Torino, Bologna, Roma e Napoli? Rinnovi di Sindaci e di consigli comunali, nelle cui campagne elettorali è presumibile che possa rivelarsi quasi proibitivo per i partiti oggi al governo andare a chiedere il voto a chi sta subendo sulla propria pelle e nelle proprie aziende danni devastanti e forse irreversibili.
Insomma, mentre partiti ed esponenti di Governo litigano sugli obiettivi ancora indefiniti e le modalità di gestione delle risorse del Recovery fund, e mentre si stanno rivelando tutte le carenze del Sistema sanitario nazionale – in cui pure non mancano tante eccellenze strutturali e professionali – interi settori dell’economia italiana già duramente provati dal primo lockdown, e che non sono certo responsabili di quanto richiamato in precedenza, con le ultime misure governative per le festività natalizie rischieranno di essere mandati al massacro economico che non potrà certo essere lenito in misura significativa da alcun ristoro.
Qualche esperto di storia tardorisorgimentale italiana ha ricordato le decisioni del generale Cadorna che nella Prima guerra mondiale mandava a morire migliaia e migliaia di soldati nelle sanguinose battaglie dell’Isonzo che si concludevano sempre con perdite spaventose e senza o con irrisorie conquiste territoriali. Ma dopo Caporetto Cadorna venne rimosso dal comando supremo dell’Esercito italiano. Certo, questo paragone fra Cadorna e gli attuali “strateghi anti-pandemia” ci sembra decisamente forzato, lo riconosciamo, ma a prima vista non è privo di una sua sinistra suggestione.