Dieci anni di divisioni, di conflitti, di sofferenze. È ormai dal febbraio del 2011 che la Libia è nel caos. E ora è arrivata anche la pandemia ad aggiungere dolore a dolore. Eppure la Chiesa di questo paese martoriato non cessa di sperare e pregare per la pace. “In questa festa di Natale – ricorda padre Magdy Mansour, frate francescano, segretario generale del Vicariato di Tripoli – possiamo permettere a Gesù di stabilire la sua dimora, riconciliandoci con gli altri. Possiamo essere, con l’aiuto del Signore, artefici di pace là dove ci sono ancora violenza e odio, cosi come ci ricorda San Francesco d’Assisi”.
La Libia sta attraversando una lunga stagione di caos e conflitti. Come vive oggi la popolazione?
La Libia dal 17 febbraio 2011 fino ad oggi vive una situazione difficile a motivo dei conflitti tra varie tribù, e tra est e ovest del paese. La gente cerca di adattarsi a questa situazione di sofferenza, sperando che la pace arrivi presto. Infatti, da due mesi, è partita un’iniziativa delle Nazioni Unite a favore della riconciliazione fra i due governi. Siamo in attesa che vengano indette nuove elezioni libere per riunire il paese nel dicembre del 2021. Che possa rinascere la pace è una speranza per tutto il popolo.
Oltre alla guerra, la Libia è stata colpita anche dal Covid? La gente riceve adeguata assistenza?
Il Covid-19 ha colpito anche la Libia, il numero dei malati aumenta giorno dopo giorno, ad oggi contiamo più di 80mila casi. A Tripoli è presente uno staff di infermieri, in gran parte stranieri, che ci aiuta a prenderci cura dei malati. E ringraziamo il governo per aver messo a disposizione alcuni nuovi centri medicali.
Papa Francesco ha più volte denunciato la situazione dei campi di accoglienza profughi in Libia. Si vivono davvero condizioni infernali? E da dove arrivano soprattutto i migranti?
Sì, ci sono tanti migranti, arrivano dal sud della Libia, attraversando il deserto. Vengono da Nigeria, Ghana, Camerun, Benin, Somalia, Sudan e da tanti altri paesi africani. E poi ci sono altri tipi di migranti che vengono dall’Asia – filippini, indiani, pakistani – o dall’Ucraina. Ma si tratta di lavoratori regolari, che hanno un contratto di lavoro e i documenti di residenza.
Come vivono il Natale le comunità cristiane in Libia? Che cosa vuol dire per loro la parola “salvezza”?
La nostra comunità di immigrati vive il Natale con semplicità. Abbiamo le Sante Messe: una alla vigilia alle 16.30 e altre due nel giorno di Natale alle 9.30 e alle 11, poi a seguire i canti natalizi per le due comunità, quella africana e quella asiatica. A conclusione, c’è Babbo Natale che distribuisce regali e dolci ai bambini.
Quale sarà il messaggio per il Natale che rivolgerà alla sua comunità?
Che Natale sia l’occasione per far venire la pace. In questa festa di Natale possiamo permettere a Gesù di stabilire la sua dimora, riconciliandoci con gli altri. Possiamo essere, con l’aiuto del Signore, artefici di pace là dove ci sono ancora violenza e odio, cosi come ci ricorda San Francesco d’Assisi: “Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace: / dove è odio, fa ch’io porti amore, / dove è offesa, ch’io porti il perdono, / dove è discordia, ch’io porti la fede, / dove è l’errore, ch’io porti la Verità, / dove è la disperazione, ch’io porti la speranza. / Dove è tristezza, ch’io porti la gioia, / dove sono le tenebre, ch’io porti la luce”.
(Marco Biscella)