Sarà il Mes a provocare la caduta del governo Conte? Forse, ma non pare. Sarà allora il Recovery Fund? Possibile, ma non è alle viste. Saranno le bizze di Renzi. Non si può escludere, ma potrebbe essere l’ennesimo suo penultimatum.
E, dunque, la crisi di governo va considerata come scongiurata? Niente affatto, nei palazzi romani si respira tuttora aria da “ultimi giorni di Pompei”. Mentre si corre fra Camera e Senato per evitare quell’esercizio provvisorio che manca dal 1988, la mente è già a dopo Capodanno, quando la verifica di maggioranza dovrà chiudersi, in un modo o nell’altro, perché il governo non può sopportare ulteriormente una tensione tanto alta dal paralizzarlo.
Una buccia di banana inattesa e insidiosa si è piazzata nelle ultime ore sulla strada del premier: l’avvio fra le polemiche della campagna vaccinale. La narrazione di Arcuri (e Casalino) del furgone che arriva dal Brennero a Roma sullo stile di una carica di cavalleria e dell’“Arrivano i nostri” ha suscitato un vespaio. Accuse (anche molto autorevoli) per l’esiguo numero di dosi assegnate all’Italia (parzialmente corrette), critiche per il governatore campano De Luca che si fa beffe delle precedenze e si fa vaccinare fra i primi, tutto segnala come le idee non siano chiare: manca un piano di distribuzione, un ordine di precedenza chiaro, un metodo di lavoro preciso.
Le idee confuse sul vaccino in apparenza poco hanno a che spartire con la politica. Eppure fanno parte di quelle cose che toccano la gente da vicino, e potrebbero rivelarsi la classica goccia che fa traboccare il vaso. Decisivo sarà il fattore tempo: Conte ha capito di averne pochissimo. Ne ha perso troppo, credendo di fare bene, ora deve correre. Deve fare accelerare Arcuri sui vaccini, mentre lui deve innestare il turbo per chiudere la verifica il prima possibile. Renzi lo sa, e sembra intenzionato a continuare a cucinare il premier a fuoco lento. Fra di loro è in palio anche il controllo del centro politico, uno spazio che nessuno sa quanto realmente pesi dal punto di vista del consenso, ma che tutti ambiscono occupare (senza dimenticare il terzo attore di quest’area, Berlusconi).
In mezzo a questo duello da OK Corral sta il Pd, che però parteggia ormai apertamente per il premier. Goffredo Bettini, ideologo del Nazareno, lo ha detto chiaramente: se cade il governo si va al voto con un’alleanza fra democratici, grillini e il “partito di Conte”, di cui più o meno segretamente continua la preparazione. Nelle sue parole Renzi non c’è. Non c’è più. Un modo di fare paura al senatore di Rignano, facendo balenare un rischioso passaggio elettorale, cui il leader di Italia viva risponde rallentando ad arte i tempi della discussione sul Recovery Plan, che Palazzo Chigi vorrebbe rapidissimi, con un’intesa politica fra i partners di governo entro San Silvestro.
Attraverso i retroscena dei giornali Renzi continua a far filtrare l’intenzione di aprire la crisi a inizio gennaio. “Conte 2 già archiviato, se volete parliamo del dopo”, è la frase che gli viene attribuita. Ma, a differenza dell’agosto 2019, non sembra avere in mano uno scenario alternativo all’attuale, a meno che non sia riuscito sinora a tenerlo abilmente al coperto. E l’assenza di una prospettiva per la legislatura rappresenta oggi il suo punto debole: pur di non andare al voto questo parlamento sembra intenzionato a votare tutto, o quasi.
Dal Conte 3 a un semplice rimpasto, le ipotesi in campo sono numerose e, al momento, tutte con un minimo grado di plausibilità. Sarà una complicata partita a scacchi con molti giocatori attorno alla scacchiera. I democratici, che avevano lasciato campo libero per settimane a Renzi nel bombardare Palazzo Chigi, ora sembrano essere soddisfatti del grado di collegialità raggiunto, e han fatto un passo indietro. 5 Stelle e LeU non hanno mai voluto la crisi. Toccherà a Italia viva la prima mossa, i tentativi di marca renziana di mollare il cerino nelle mani di Conte sono tutti falliti.
L’antivigilia di Natale Renzi è stato chiamato al Quirinale per un faccia a faccia informale con Mattarella. Ne è uscito con un input chiaro: qualunque sia la sua decisione, dovrà sbrigarsi. Quel che fa più paura è un estenuante vuoto di potere. Qualunque sia la sua decisione, la metta in atto in fretta. Il paese non può permettersi una crisi lunga proprio nel momento in cui si pianifica la ripartenza dopo la pandemia. La fretta di Mattarella gioca a favore del governo che c’è.