Quattro anni di carcere: è la condanna emessa dal tribunale di Shanghai, dopo una sorta di processo farsa, nei confronti dell’ex avvocato Zhang Zhan, oggi “citizen journalist”, come si definiscono in Cina quelle persone che documentano la realtà dei fatti sui propri blog. La motivazione? Aver pubblicato notizie sulla pandemia quando ancora il regime parlava di “polmonite misteriosa”. Intanto il New York Times e ProPublica, una organizzazione indipendente di informazione senza scopo di lucro americana, hanno pubblicato una inchiesta impressionante su come il governo cinese abbia manipolato a suo favore le notizie sulla pandemia, impiegando centinaia di migliaia di persone in attività di censura e propaganda online, con l’intento, tra le altre cose, di ridurre la percezione della pericolosità del virus proprio mentre questo si stava diffondendo fuori dal paese. L’inchiesta è stata resa possibile grazie a circa 5mila documenti trafugati da alcuni hacker dall’ufficio della Cyberspace Administration of China, voluto dal presidente Xi Jinping per controllare tutta l’attività sulla Rete.
“Non sono novità” ci ha detto in questa intervista il professor Massimo Introvigne, sociologo, fondatore del Cesnur e direttore di Bitter Winter, quotidiano in cinque lingue sui diritti umani e la libertà religiosa in Cina, “in quanto sono decine di milioni le persone impiegate dal regime cinese per controllare e denunciare qualunque tipo di attivismo sia politico-religioso che di informazione che appaia su Internet. La manipolazione della pandemia, poi, ha ottenuto successo anche in Occidente: basti dire che la Bbc ha dato con grande enfasi la notizia che dal prossimo anno sarà possibile per gli osservatori internazionali visitare i laboratori di Wuhan, quando ormai il governo avrà fatto sparire qualunque prova, così come sono riusciti a far credere ai cittadini cinesi che il virus in realtà è arrivato dall’estero e non si è diffuso a partire dalla Cina”.
Come commenta la notizia della condanna di Zhang Zhan?
Queste condanne sono di routine, c’è chi viene condannato non solo pubblicamente, ma sparisce e non se ne sa più nulla. Sono talmente numerosi i casi che a Natale un nomade tibetano che aveva ritrasmesso sui social gli auguri natalizi del Dalai Lama è stato condannato a un anno di carcere solo per aver premuto un bottone. Zhang Zhan ha certamente provocato più danni del nomade tibetano. Ma ci sono altri citizen journalists che sono spariti, di cui non si sa più nulla e addirittura si teme il peggio.
Esiste dunque una attività di informazione indipendente in Cina?
Sì, e se davvero Zhang Zhan uscirà fra 4 anni, da un certo punto di vista le sarà andata bene. Bisogna però dire che non è una oppositrice del regime, ha solo dato notizie sul Covid. C’è severità maggiore con chi dà notizie su Hong Kong o il Tibet. È una sentenza molto severa, visto che si trattava solo di una cittadina preoccupata dal virus.
Una inchiesta pubblicata dal New York Times e da ProPublica ha reso noti migliaia di documenti governativi che dimostrano l’opera di propaganda del governo cinese sul Covid. Cosa può dirci su questo?
Non sorprende neanche questo. Bisogna contestualizzare il Covid in un quadro più grande. Ogni anno la Cina impiega dieci milioni di persone come troll. Tutte le università devono fornire una quota di studenti che conoscono le lingue straniere i quali devono passare diverse ore alla settimana a fare i troll su Internet. A loro viene dato l’accesso ai social, che in Cina sono vietati, per andare anche sui nostri social e diffondere messaggi di propaganda. Non parliamo delle elezioni americane, dove hanno operato un migliaio di troll. Nel caso del Covid parliamo di dieci milioni, la più grande diffusione di news su Internet tramite falsi account della storia. Questo avviene su ogni cosa: le persecuzioni religiose, Hong Kong, le minoranze religiose. Non è quindi sorprendente che una parte di questo esercito di troll si stato impiegato sulla questione Covid.
Che ripercussioni ha avuto questa azione in Occidente? In Cina la popolazione si è convinta che il governo abbia saputo sconfiggere senza grandi danni il virus?
La propaganda è stata così massiccia da convincere tutti i cinesi che il Covid viene dai paesi esteri, tra cui l’Italia. Non solo. Pechino ha cercato di convincere gli stranieri che il virus non sia cinese o che il laboratorio di Wuhan non c’entri nulla: anche su questo il regime ha ottenuto buoni risultati. Ci sono grandi media occidentali che quando si riferiscono al laboratorio di Wuhan come genesi del virus parlano di grande bufala. La propaganda è stata così massiccia – con l’aiuto anche dell’Oms, dove lavorano tanti amici dei cinesi – che tanti media importanti credono davvero si tratti di una bufala diffusa da quattro complottisti.
Ma veramente la Cina ha sconfitto il virus o anche questa è propaganda?
Qui entra in campo un ragionamento di carattere filosofico.
Cioè?
Da una parte, il regime cinese sostiene che il Covid ha dimostrato che la democrazia non funziona: da noi infatti è impossibile costringere i cittadini a osservare le norme di sicurezza, mentre nei paesi non democratici come la Cina o la Corea del Nord il contenimento è stato molto più facile. È un qualcosa che viene propagandato ai giovani: vedete che vivere in un paese non democratico offre dei vantaggi? Non è però solo una questione di democrazia. Va detto che una tra le più efficaci prevenzioni al mondo è avvenuta anche a Taiwan, un paese democratico. In questo senso accennavo a un aspetto filosofico: il rispetto delle regole, soprattutto quelle sanitarie, tanto che appena si manifesta un piccolo raffreddore tutti corrono a indossare le mascherine. Non è tanto la cultura comunista, ma quella cinese, ad aver ottenuto i risultati.