La parola chiave di questi tempi disgraziati è iniezione. E il fatto che faccia rima con illusione non rappresenta, a mio avviso, una casualità. Domenica i telegiornali italiani sembravano i trailers di Trainspotting o Cristiana F: aghi dappertutto, siringhe a perdita d’occhio, bicipiti inflacciditi trafitti dal freddo e appuntito brivido della speranza. Ma basteranno per tutti i vaccini che arriveranno? C’è un piano per una reale operazione di massa oppure si è pensato solo alla photo opportunity delle poche migliaia di fortunati del Vaccine day? La nostra sanità del territorio saprà reggere l’impatto di un’operazione capillare come questa, mai vista fino a oggi?
Domande che nessuno ha voglia di porsi, perché dopo un anno da incubo, ogni timido raggio di luce appare come la più lucente alba mai vista. Occorre però pragmatismo, altrimenti si rischia di passare da un estremo all’altro: dal pessimismo cosmico della scorsa primavera all’eccesso di ottimismo scientifico attuale, senza soluzione di continuità. E attenzione, perché la metafora sanitaria che stiamo vivendo è perfetta per capire quanto sta per arrivarci addosso anche a livello finanziario, di mercato. Ed economico.
La parola chiave è iniezione, dicevamo. Quella del vaccino, ovviamente. Ma anche questa, metadone della più pericolosa dipendenza di sempre, quella dal debito.
L’eroina monetaria, l’illusione dei cieli sempre blu, l’onnipotenza delle Banche centrali di fronte a ogni sciagura, sia essa riconducibile ai subprime o al debito sovrano o al Covid e al suo fall-out sulle economie reali. Così come il vaccino ci ridarà la libertà perduta, così la Bce e soci ci garantiranno il benessere. O, quantomeno, pareranno i colpi più duri. Non sono un medico, né uno scienziato. Quindi, mi esento dal giudicare se sia vero che quella siringa contenga la risposta alla nostra domanda di ritorno alla normalità. In compenso, so dirvi con relativa certezza che le Banche centrali non hanno poteri taumaturgici. E, anzi, rischiano di aggravare un problema già di per sé decisamente in fase esiziale. Iniettare liquidità non significa oliare un meccanismo per farlo funzionare meglio, bensì unicamente spingere un’automobile rimasta senza benzina. Va bene, se si ha la certezza che a pochi chilometri c’è un distributore dove si potrà fare il pieno. Ma se si è nel bel mezzo del deserto, quell’intervento serve unicamente a guadagnare qualche metro. Calciare in avanti il barattolo, sperando nel miracolo di un’oasi. Ma senza averne la certezza. E in economia, la speranza è spesso cattiva consigliera.
Ecco, oggi il mondo ha come unica certezza il supporto delle Banche centrali e, forte di quel sostegno percepito, vaga senza meta. C’è un problema nel comparto azionario? Ci pensa la Fed. Il tremore ha travalicato i confini e ora minaccia il reddito fisso? Ci pensa la Bce, magari ampliando ulteriormente la platea di carta igienica accettata per rifinanziarsi. Per quanto, però? Ma, soprattutto, attenzione ai flussi. Perché come per un’iniezione occorre stare attenti alla formazione di bolle d’aria nella siringa e al fatto che non si spezzi l’ago, così bisogna sempre mettere in conto che sul mercato il principio dei vasi comunicanti tende a giocare brutti scherzi. Ciò che è stato immesso, prima o poi da qualche parte deve uscire. O, comunque, esonderà. E spesso ci si accorge quando è troppo tardi, quando lo tsunami ci coglie impreparati sulla battigia, intenti a costruire castelli di sabbia con le nostre certezze come fondamenta.
Guardate questi due grafici, parlano molto più chiaramente della mie parole. Il primo ci mostra l’esplosione degli inflows registrati quest’anno dagli Etf facenti capo ad Ark, di fatto fondi che tracciano ormai solo large caps e con un’enorme esposizione sul comparto tech (10% del portfolio solo sul titolo Tesla). Pensate che un’evoluzione simile, capace di portare gli asset-under-management (AUM) del gruppo dagli 8,2 milioni di dollari del dicembre 2015 agli attuali 18,4 miliardi sia dovuta ad altro se non all’iniezione continua e costante di liquidità?E chi sta operando da driver di quei flussi, se non la clientela retail, i cosiddetti daily-traders?
Direte voi, se lo hanno fatto, bel colpo. Vero. Il problema, appunto, sta nei flussi. È tutta una questione di timing: ora si spinge per entrare, come a un concerto rock per guadagnarsi la prima fila. Ma, avendo il biglietto in tasca, male che vada ci si ritroverà un po’ più lontani dello sperato dal palco, ma comunque si ha la certezza che si assisterà allo show. Il problema è l’uscita: ce la faremo a raggiungere in tempo i varchi, quando la musica si sarà fermata e la sua magia terminata, al fine di prendere l’ultimo convoglio utile della metropolitana per tornare a casa? Oppure no e ci toccherà svenarci per pagare un taxi, ritrovandoci poi a fare un conto sui costi/benefici di quella serata che al prezzo del biglietto avrà unito anche quello – imprevisto – della perdita accessoria di capitale del nostro ritardo nell’uscita?
Ecco, tanta gente entrata dentro quegli Etf uscirà tardi. E, temo, perderà parecchi soldi. È statistica, parlano in tal senso le serie storiche. E non perché sia stupida, semplicemente perché sta maneggiando materia esplosiva non avendo fatto una scuola per artificieri. E ora guardate il secondo grafico, il quale ci mostra lo spread mostruoso venutosi a creare nella notte fra domenica e lunedì in seno alla cavalcata selvaggia del prezzo di Bitcoin, passato nell’arco di 48 ore da 23.000 dollari a oltre 28.000. Ieri mattina i prezzi dei futures hanno aperto a un livello di 1.365 dollari superiore rispetto a quelli spot, un +19% che rappresenta il balzo maggiore dal giugno 2019: liquidazione forzata di posizioni ribassiste. In gergo, short squeeze. Ovvero, gente che ha tenuto aperte per troppo tempo scommesse al ribasso e che si è trovata costretta a chiuderle in fretta e furia e a prezzi decisamente alti, prima di venire inghiottita da una margin call in grado di azzerare il conto titoli.
Pensate che una dinamica simile sia innescabile da un flusso di mercato “normale”, domanda-offerta? Pensate che realmente Bitcoin si muova su questi volumi, solo perché esistono fondamentali che giustifichino quegli scostamenti? Bene, in quest’ultimo caso, meglio preoccuparsi. Seriamente. Perché vista la natura da nuovo bene rifugio che la criptovaluta sta assumendo da qualche mese, risucchiando appunto clientela in uscita dagli Etf aurei con un principio di vaso comunicante quasi automatico, significa che molta smart money sta preparandosi al peggio. Ovvero, al fallimento del monetarismo fiat e delle sue ricette basate sulla stamperia globale. Sull’iniezione come risposta a tutte le domande. Siamo dentro un altro 2007, cari signori. Quando tutti erano felici e si compravano MBS basati su mutui subprime con la certezza che il mercato immobiliare non sarebbe mai crollato, nonostante il 90% delle cartolarizzazioni messe sul mercato fossero basate su immondizia coperta dal rating AAA per una porzione residuale delle varie tranches di stratificazione obbligazionaria. La vecchia logica del fruttivendolo scorretto che mette le castagne sane sopra e quelle bacate sotto, ben nascoste ma in quantità sufficiente da garantirgli un bel profitto.
Questa festa continua non può durare, per il semplice fatto che il residuo di mercato che ancora si basa su concetti desueti ma fondamentali come fair value e price discovery non può permettersi di sterilizzare di default il premio di rischio degli assets che la gente si tiene a bilancio: spesso e volentieri, sapendo che equivalgono a spazzatura, nonostante le roboanti valutazioni ufficiali. Chi opera come daily trader, però, nella maggior parte dei casi non lo sa. O se anche ne è cosciente, con ottime probabilità non conosce la data di scadenza di quella materia che sta maneggiando. E rischia di scaricarla quando la palla di neve è ormai arrivata a valle e ciò che fino a ieri valeva 90, oggi è un miracolo scaricarlo a 15. Il mercato, quello vero, le mani forti, contano su questo: far pagare agli stomaci altrui, l’indigestione di tutti. Anzi, trattandosi di iniezioni, l’overdose.
Magari mi sbaglierò ma davvero sembra di essere nel déjà vu del 2007, quando all’orizzonte si vedevano solo speranza e cieli azzurri, dopo il buio della bolla dot.com del 1999-2000. Attenzione ai flussi, perché come nelle siringhe, anche il mercato nasconde bolle d’aria a rischio embolia. Quando tutto si congela, di colpo. Insomma, il vaccino potrà anche immunizzare i lavoratori, ma se l’economia – come ha fatto e continua a fare – basa ogni suo prodromo di ripartenza unicamente sull’iniezione perenne delle Banche centrali, il risultato sarà un esercito di dipendenti sanissimi. Ma senza lavoro. Perché non esiste vaccinazione per i conti aziendali in rosso, i flussi di cassa assenti, l’indebitamento strutturale, il fisco che strangola, il credito bancario assente e le commesse ridotte all’osso. Perché la liquidità della Bce può fermare gli spread sovrani, ma non far camminare le aziende private.
Attenti ai miracoli a prezzo di saldo. Spesso e volentieri, quasi sempre, nascondono la fregatura.