“Purtroppo non sta scritto da nessuna parte che il 2021 sarà migliore del 2020” dice Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera, sindacalista per più di vent’anni, poi leader di Rifondazione comunista. Non entra nelle beghe del governo, né in quelle dell’Europa, ma i bersagli sono perfettamente riconoscibili. La politica “è una scimmia sorda, cieca e muta, tace davanti alla democrazia manomessa e alle nuove voragini di povertà”. Adesso tocca alla società, alle sue “casematte”, “terremotare” l’ordine vigente.
È pessimista, presidente Bertinotti?
Per me è molto fastidioso essere pessimista, soprattutto in politica, ma non riesco a non esserlo. Le formule consolatorie cominciate con il Covid – andrà tutto bene, nulla sarà più come prima, saremo migliori – non mi convincono. È un orizzonte che non viene confermato dall’agire. Tantomeno dall’agire politico.
La politica non è tutto.
È vero. La società civile è piena di testimonianze che esprimono solidarietà, fraternità nelle relazioni. Però questi fenomeni importanti sono largamente contraddetti dalla politica.
Insomma, la società è sempre migliore della politica che la guida, eccetera.
La mia non è una concessione al qualunquismo o al populismo, è una realtà di fatto. Non dico che la società civile è migliore delle sue istituzioni, ma che nel paese reale, nella società civile vivono esperienze di mondo nuovo da cui la politica è lontanissima.
È una politica in crisi.
Di più. È un’unica scimmia sorda, cieca e muta.
Cosa ci aspetta sul piano politico in questo anno che comincia?
Difficile rispondere, perché la politica è assente. Quando leggo l’enciclica Fratelli tutti o il discorso del papa ad Assisi, in cui ha detto che non siamo condannati all’economia del profitto, misuro l’abisso che divide questa lettura del mondo rispetto alla politica che non c’è.
Cosa le piace di quel messaggio?
Quello del papa è un messaggio di speranza, la politica è il suo contraltare disperante. È puro galleggiamento, competizione separata dai grandi problemi e da quelli quotidiani della vita delle persone.
La Costituzione è stata violata in nome del principio di precauzione?
La nostra Costituzione è violata da un quarto di secolo. Nella nostra Carta, diversamente da quelle di ispirazione liberale, la democrazia si coniuga con l’eguaglianza. È l’articolo 3. Ma negli ultimi 25 anni la giustizia sociale in tutta Europa è stata fortemente lesa in nome delle politiche liberiste di austerità, sempre meno rivolte al bene comune. Questo elemento si è accompagnato ad una progressiva erosione della democrazia rappresentativa.
Ci spieghi meglio.
La democrazia sostanziale è stata manomessa per mancanza di giustizia, la democrazia formale è stata manomessa perché, progressivamente, tutti gli istituti della democrazia rappresentativa, a partire dal parlamento, sono stati fortemente ridimensionati. Il ricorso sistematico ai voti di fiducia e alla decretazione d’urgenza ne sono un esempio.
E questo a che cosa ha portato?
La governamentalità ha divorato la democrazia. E quando il Covid ha prodotto l’emergenza, lo stato di emergenza è stato usato per piegare ulteriormente le democrazie rappresentative in senso neoautoritario. I sacerdoti della politica europea, da Maastricht in poi, sono diventati i gendarmi di queste nuove compatibilità tra trattati europei e costituzioni. Sia chiaro: è una compatibilità che i governi hanno concorso a determinare. Sono stati complici.
Come ci si è arrivati?
È potuto accadere quando le forze protagoniste della lotta di liberazione nazionale e della costruzione della repubblica hanno dismesso la loro ideologia, la loro autonoma concezione della società, e hanno perso la fede. Qui la politica si è dimezzata.
Perché dimezzata?
Ha seguito una parabola calviniana: da barone rampante a visconte dimezzato. Adesso siamo al cavaliere inesistente.
Non ci sono soltanto i 500 morti al giorno, ma anche le imprese che chiudono. Milioni di persone resteranno a casa. Che cosa si può fare?
Dalla politica non possiamo aspettarci nulla; dobbiamo contare sulla crescita della società civile. Lo dico con un’espressione un po’ forte, non mi faccia fraintendere.
Prego.
La società civile dovrebbe assediare la politica: da un lato deve costruire le sue casematte, le sue esperienze, nuove forme di organizzazione della società e dell’economia. Dall’altro, forte di queste esperienze, deve determinare una pressione così forte da terremotare la politica, mettendo in discussione l’assetto ordoliberale vigente.
In concreto?
La società, anche quella che produce, chiede una grande riforma, un nuovo modello economico, sociale e ambientale. “Non siamo condannati all’economia del profitto” ha detto il papa. Ma questa dovrebbe essere una parola d’ordine della politica. Perché non lo è? Se per decenni non si è speso in sanità e scuola, è stato in ossequio al primato del bilancio in pareggio, ma anche perché si è lavorato per demolire l’intervento dello Stato nell’economia, ritenendo che il mercato fosse l’alfa e l’omega del futuro. E adesso ci aspettano voragini di povertà e di emarginazione.
Qual è stato il ruolo del Covid?
Il Covid è stato l’ultimo potente acceleratore della crisi, ma il mercato aveva già rivelato la sua fallacia. Le disuguaglianze erano cresciute in modo prepotente, ora esploderanno.
Torniamo all’assedio.
Nell’Europa e nel mondo, in questi ultimi anni, il potere politico è stato scosso e costretto a fare un bagno di realtà solo dalle rivolte. Non tanto come fenomeni violenti, ma come moti di partecipazione. Dall’Algeria agli Usa, dalla Francia al Cile fino a Hong Kong. Non dico che Trump ha perso le elezioni a causa del Black Lives Matter, ma questo ha certamente influito.
Come?
Nel rimettere in relazione proteste prima separate: operai che perdevano il posto di lavoro, donne depredate dei loro diritti, neri repressi dalle forze dell’ordine.
Il vaccino?
Questa volta l’apporto della scienza è stato benefico.
Lei si vaccinerà?
Certamente sì: mi pare un atto di responsabilità civile.
Il Next Generation Eu?
Potrebbe essere un’occasione perché sottende una politica di spesa pubblica. Il problema è in quale direzione. I prestiti vanno restituiti, certo, ma gli interessi sono contenuti e c’è una parte a fondo perduto, questo è l’elemento di novità. Poi viene quello di preoccupazione.
E sarebbe?
Questo cambiamento di indirizzo è stato mosso non dalla politica, ma dall’economia. E dall’economia così com’è. I presupposti ordoliberali sono ancora vigenti. Vediamo aumentare povertà e diseguaglianze giorno dopo giorno, ma di questo chi sta intorno al Recovery non parla. Anche l’impresa chiede la digitalizzazione perché sente che altrimenti va a sbattere, ma chi governa i fondi cosa dice della miseria che aumenta? E dell’educazione della persona? È il mutismo della politica.
La governance del Recovery divide Conte e i partiti.
È una prova di quello che sto dicendo. Negli anni 60 Giorgio Ruffolo creò l’Ufficio per la programmazione economica, che elaborò una serie di proposte poi depositate in parlamento. Sarebbe stato elementare prendere quell’esperienza e ricopiarla.
Lei a quale speranza si affida?
Glielo dico con le parole di Papa Luciani. Penso che stesse commentando la Populorum progressio di Paolo VI, a cui veniva rimproverato di essere un visionario. Che cosa è realistico? A me pare che realistico sia cambiare la società, disse Luciani. Ricominciamo da qui.
(Federico Ferraù)