Un racconto del Mondo Piccolo di Giovannino Guareschi intitolato “Ladri di biciclette” e ambientato nel primissimo dopoguerra è dedicato a una maestra elementare.
Peppone, con l’ausilio di un ispettore, vuole metterla sotto accusa per il fatto che aveva insegnato durante il fascismo. Lei non si scompone. Ribatte che ha il dovere di educare i suoi ragazzi, indipendentemente da chi governa, e mostra come è costretta a lavorare: i banchi sono rotti, la lavagna è inservibile, la biblioteca è inesistente, i servizi igienici non funzionano, così come la luce elettrica e la radio. Pur in queste condizioni, la maestra porta avanti così bene il suo mestiere che i bambini la adorano. Il giorno in cui le viene rubata la bicicletta ne ritrova non una ma due, perché tutti, persino le autorità, prima ostili, si premurano di aiutarla.
Si può dire che la maestra di Guareschi non abbia fatto la differenza nel suo ambiente? E perché non era scoraggiata?
Perché era “presa” da chi aveva davanti, perché voleva bene al suo prossimo che erano i suoi alunni.
Anche oggi, soprattutto in questa seconda ondata di Covid, tutto sembra difficile, peggio che nel primo dopoguerra. In quel momento c’era solo da ricostruire, adesso sembra di vivere nell’incertezza, non si sa cosa può succedere, perché si è sempre più preoccupati della recrudescenza del morbo, della possibile catastrofe economica, del crollo psicologico di fronte agli innaturali ma necessari lockdown.
Eppure, la maggior parte degli italiani è rimasta al suo posto. Vincendo lo scoraggiamento. C’è chi ha servito gli ammalati, chi ha continuato a far funzionare servizi essenziali o semplicemente a fare con passione il suo lavoro, cosciente di rispondere al bisogno di qualcuno intorno a sé e di contribuire alla ricchezza del paese.
Inquinati da tanto dibattito pubblico, spesso fatto di parole inutili, in questo inizio anno 2021, spesso non ci si rende conto che esserci là dove siamo chiamati può essere la chiave di ogni ripartenza, non solo per sé ma per tutto il nostro popolo.