Chi ingenuamente sperava di poter individuare nel discorso di fine anno del presidente della Repubblica un sia pur minimo “via libera” a un rimpasto profondo del Governo capace di ovviare alle evidenti lacune gestionali rivelatesi senza più ombra di dubbio negli ultimi mesi, è rimasto deluso. Le parole – come sempre misurate, equilibrate e moralmente elevate di Sergio Mattarella – hanno, sì, avuto il merito di richiamare fermamente tutti al necessario senso di unità nelle difficoltà che il Paese attraversa; hanno fatto chiarezza sulle voci relative a un’inesistente strategia dell’inquilino del Quirinale per un secondo mandato; ma non sono minimamente entrate nel merito delle tensioni politiche che stanno logorando la maggioranza.
L’impressione è quindi che con queste carte gli elettori hanno voluto giocarsi cinque anni di legislatura, e con queste carte dovranno continuare a giocare fino in fondo la partita, durissima, dell’uscita dalla pandemia e della ripresa economica.
Facile prevedere che sarà una partita in perdita. Facile dopo un esame anche sommario della Legge di bilancio dello Stato per il 2021. Che non a caso – dando ulteriori speranze, infondate però, a chi sperava in un messaggio forte di Mattarella – Sabino Cassese aveva stroncato quattro giorni fa dalle colonne del Corriere della Sera: essendo il presidente emerito della Corte Costituzionale buon amico di Mattarella, di fronte al suo attacco severissimo alla Legge molti infatti avevano sperato che il Colle avrebbe avallato e in qualche modo fatte proprie le critiche. Così non è stato. Si può quindi dire che Cassese ha autorevolmente avallato lui, semmai, le critiche politiche mosse a quella legge e, in genere, all’azione del Governo da Matteo Renzi. Ma è intuitivo che siamo di fronte a ben altra questione. Da una parte, la mancata spallata del Colle; dall’altra, l’insistente ma finora vano strepito di Renzi.
E allora? Allora, probabilmente, dovremo tenerci per un altro due anni e mezzo quel che è ormai senza dubbio un pessimo Governo, disunito su tutto e come tale dedito soltanto ad alimentare con mance e mancette questa o quella corporazione, appunto varando una Legge di bilancio che – Cassese docet – “è la sagra del corporativismo, un coacervo di misure che accollano alle generazioni future un forte debito aggiuntivo”. Un documento che è “solo formalmente un provvedimento unitario. Vi dominano il settorialismo e la non-pianificazione”. “Per 24,6 miliardi è finanziato in deficit e porta il disavanzo complessivo al 10,8 per cento e il debito al 158 per cento del Prodotto interno lordo”. Con un effetto “fritto misto” di piccole prebende, prive di visione unitaria: quella visione che peraltro si cerca con modestissimi risultati di dare nella bozza di documento per l’impiego dei fondi del Recovery Plan, anche lì però deboli sul fronte dell’impostazione strategica e clamorosamente lacunosi – nell’inspiegabile silenzio del ministro preposto, Speranza, che pure aveva indicato in 68 miliardi la cifra necessaria, non nei 9 cui oggi è ridotta – sul sostegno alla riqualificazione di un sistema sanitario che è stato piegato in due dalla pandemia.
Il senso della manovra 2021 sembra dunque puramente pre-elettorale: mance, bonus, ancora mance. Dal telefonino in comodato d’uso al bonus occhiali, dal bonus rubinetti a quello per le tv. Una pioggia di micromisure di cortissimo respiro, che sottrae risorse alle cose vere da fare – e sguarnite di fondi – come i ristori, finora di bassissimo impatto. La strategia sembra quella di dare patatine e coca-cola ai favelados. Altri strali di Cassese: “La moltiplicazione di uffici dirigenziali, l’assunzione di nuovo personale nei ministeri e di idonei non vincitori di concorsi e di lavoratori ‘socialmente utili’, purché abbiano superato la sola scuola dell’obbligo […], decine di elargizioni e mance, la istituzione di molti fondi e la previsione di finanziamenti fino al 2036, così parcellizzando il bilancio e irrigidendolo”. In definitiva, una “apoteosi del corporativismo in salsa populista”.
Altrettanto severa l’analisi, pubblicata dal Sole 24 Ore, di Mario Baldassarri, già viceministro all’Economia ed economista insigne: “La Legge di bilancio 2021 risulta quantitativamente modesta, qualitativamente sbagliata e per molti aspetti silente sulle domande serie che affliggono famiglie e imprese per i prossimi mesi e anni”.
Dopo il -9% di caduta del Pil stimato – a oggi – dalla Banca d’Italia per il 2020, la ripresa economica che lo stesso istituto individua nel 3,5% per l’anno iniziato ieri è condizionata però “dalla concreta specificazione degli ulteriori interventi che si prevede vengano in larga parte definiti nei prossimi mesi e inclusi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza e da una loro tempestiva attuazione”.
Sulla scorta di questo monito, è chiaro che la Legge di bilancio 2021 è una specie di proroga affannosa dei decreti precedenti, con quella spolverata di piccoli favori richiamata prima. Mentre la bozza sull’uso dei fondi europei è vaga e generica.
Dunque se Renzi fa sul serio e toglie il sostegno al Governo, si aprono due scenari: o un’accozzaglia di “responsabili” da richiamare l’indimenticabile stagione del “governo Razzi-Scilipoti” inventato da Gianni Letta per salvare (brevemente e inutilmente) l’ultimo governo Berlusconi, ma i conti al momento sembrano non tornare; oppure il ritorno alle urne, in un quadro comunque destabilizzato. Un quadro in cui al sicuro e meritatissimo dimezzamento dei Cinquestelle non farebbe riscontro una proporzionale crescita delle sinistre, riconsegnando così il Paese o a un centrodestra privo del pur discutibile fattore di equilibrio europeista rappresentato da Berlusconi – e quindi esposto a molte incognite – o a una sostanziale ingovernabilità. La scelta tra la padella dello status quo e la brace dell’incognita politica è purtroppo quella con cui si apre il nostro 2021 politico.